hackit a palermo

appena tornata in terra natia dopo l’hackit a Palermo.
ci mettero’ sicuramente un po’ a metabolizzare il tutto, al momento il mio corpo
e’ impegnato a combattere la febbre e il cedimento psico-fisico.
un hackmeeting impegnativo, sotto vari fronti, bellissimo, da ogni punto di vista.
ero partita da una firenze fredda e umida pensando al mare, alle granite e ai gelati, mi sono ritrovata in una palermo con un clima irlandese, immersa nell’acqua notte e giorno. l’ask e’ una chimera in un deserto periferico. un palazzo imperiale sequestrato a un capomafia, un posto incredibile e un’architettura inspiegabile.
abbiamo costruito impianti elettrici e idraulici, bagni e dighe anti-alluvione, credo di aver passato un buon 40% del tempo con un mocio in mano a strizzare acqua.
l’ingranaggio hackit ha funzionato di nuovo, quella magia per cui un tot di acari arrivano una settimana prima e lavorano come trottole finche’ non finiscono tutto quello che c’e’ da fare. l’essenza dell’autogestione e di tutto cio’ che mi fa sentire bene.
poi c’erano i palermitani. la sorpresa piu’ bella, occhi seri e sorrisi bellissimi, gli stessi nervi e battiti, energie e ansie. un’accurata delicatezza nell’accudire cibo e piante. e mentre ripercorro facce e parole mi riimmergo nella febbre cercando di riadattarmi alla vita normale.

L’ossessione della sicurezza

Mentre continuo nella mia lunga ricerca su Francia, banlieues e ansia securitaria, finisce che inevitabilmente intoppo di nuovo in Laurent Bonelli. Presa da un raptus di pigritudine avevo rallentato la lettura del suo libro tradendolo con La rivolta delle periferie ed. Mondadori (ma giuro, solo perche’ questo e’ in italiano!). Ma girando di nota in nota, di rimando in rimando, mi ritrovo di nuovo a leggere le sue cose. e mi sembrano ancora le piu’ lucide, forse perche’ estendibili anche alla situazione che viviamo qui in italia.
 
Ecco un articolo (in italiano) su Le Monde diplomatique , un po’ vecchiotto (del 2001) ma comunque interessante soprattutto nella ultima parte. Vi evito l’introduzione di redazione di Le Monde Diplomatique perche’ mi sembra abbastanza inutile (e cmq lo trovate seguendo il link).
 
Qui invece potete scaricare un intervento alla radio sulla sicurezza (sono pochi mega di .ogg), ma ahime’ in francese ed e’ veramente un peccato perche’ dice cose non banali.
 
L’OSSESSIONE DELLA SICUREZZA

La paura, lucrosa rendita della politica

di LAURENT BONELLI*
 
L’8
gennaio scorso, il Midi Libre rivelava che a Nîmes la Polizia nazionale
e i vari servizi statali di assistenza sociale decentralizzata avevano
creato, insieme al locale Ufficio di collocamento, uno schedario
condiviso in rete, sulla base delle informazioni dei loro archivi
relative a 179 adolescenti «in difficoltà». Le informazioni diffuse,
molto dettagliate, riguardavano sia eventuali precedenti di questi
giovani, sia la classe frequentata, gli aiuti sociali concessi e il
loro comportamento in occasione di interviste individuali… Continue reading →

Comunita’, integrazione, inclusione e altre porcherie

311In questi giorni, tra mobilitazioni contro i cpt, deliri emergenziali e letture interessanti mi sto concentrando molto sul termine di comunita’ e su quello di integrazione. Sto leggendo un libro molto lucido che consiglio a tutti: Lessico del razzismo democratico, di Giusppe Faso, uscito da poco per DeriveApprodi. Ha il pregio di farti riflettere sulle parole senza darti delle soluzioni alternative precotte. E cosi’ stai li’, pensi, rimugini e ti germogliano in testa cose interessanti, che hai scoperto da solo e che non ti ha insegnato nessuno.

E infatti.

Ho sempre pensato al termine comunita’ come a un qualcosa di bello, un gruppo che univa individui legati dalle stesse passioni, da idee affini e intenti comuni. Pensavo alla comunita’ hacker, a quella punk, alle sottoculture.. ma questo tipo di comunita’ sono per definizione aperte e "contaminabili" in qualsiasi momento. Spesso si fondono e straripano continuamente dagli argini.

Invece questo termine viene correntemente usato con ben altri significati, e mi viene da pensare che cio’ che cambia e’ lo scopo con cui viene usata una parola: ci sono comunita’ nate per includere e comunita’ nate per escludere.

comunita’ rumena, comunita’ albanese, comunita’ sengalese…
e’ come se si desse per scontato che gli immigrati nel nostro paese possano far parte unicamente di una comunita’ che riunisca persone nate nello stesso luogo.
i migranti non sono individui, con dei loro interessi, delle loro passioni.
davanti a tutto deve sempre restare il marchio solenne del luogo di nascita, lo stigma dello straniero.
siccome abbiamo paura di mescolare le nostre abitudini con altre diverse, magari per poi scoprire che ci piacciono di piu’, ecco che tracciamo comunita’ i cui confini sono invalicabili. potrei condividere con un rumeno la passione per il calcio, ma non potrei certo diventare rumeno anch’io. ognuno resti nella propria comunita’ e non se ne parli piu’.
al massimo si parla di "integrazione" o, peggio, di "inclusione". lasciando intendere, senza possibilita’ di dubbio, che una persona puo’ venir presa e fatta entrare nella mia "comunita’". un processo a senso unico, dove non si accettano mescolanze e contaminazioni. ho un clan, e se stai buono faccio entrare anche te, del clan diverso.
questa e’ la tesi che nell’Europa contemporanea va per la maggiore nella sinistra bene. questo e’ quello che ha portato avanti per anni la Francia, e che sta scoprendo ora il pd qui da noi (con i soliti 15-20 anni di sonnolento ritardo). Modello anglosassone contro modello francese. L’uno freddamente menefreghista e fintamente tollerante: vestiti e parla un po’ come ti pare, tanto non conti niente comunque. l’altro protezionista e fintamente materno: la mia comunita’ ha un’identita’ che non si tocca, se stai bravo ti si fa entrare e far finta che sia anche la tua, altrimenti fuori, non avessi a contaminarci.

I rivoltosi delle banlieues vengono accusati di "comunitarismo", si sentono parte di una comunita’ che non coincide con quella francese e bruciano per emergere dall’invisibilita’.
Ingrati: noi li accettiamo nel nostro clan, li chiamiamo "figli e figlie della Repubblica"(1), accordiamo loro il permesso di sentirsi francesi, e ci ripagano sbattendoci in faccia la loro estraneita’.
Ma come puo’ un Algerino sentirsi figlio della Repubblica? Sono i figli di chi nel ’61 e’ stato ammazzato nella Senna dalla polizia francese(2), non di Napoleone, di De Gaulle o di Robespierre.
E’ un razzismo estremo, quello di una comunita’ chiusa che si sente generosa, dall’alto della propria superiorita’, nel permetterti di rinunciare alla tua identita’ per aderire alla sua.

( 1) nel 2005 Chirac chiamava cosi’ i giovani delle banlieues: «ils
sont tous les filles et les fils de la République».

( 2 )  http://aquiestoy.noblogs.org/post/2007/10/17/17-ottobre-1961-il-massacro-di-parigi-la-nuit-oubli-e

Un cpt che brucia

Il 22 giugno scorso il centro di permanenza temporanea di Vincennes, vicino a Parigi, e’ stato incendiato ed e’ andato completamente distrutto. Era il piu’ grande CRA (l’equivalente dei nostri CPT) di tutta la Francia. Una ventina di detenuti sono rimasti intossicati dal fumo. Riguardo al numero di evasi invece le autorita’ hanno rilasciato dichiarazioni confuse e contraddittorie. Si e’ parlato di un unico evaso, di dieci, di cinquanta. E’ evidente che in un centro che prevede 280 posti e ne contiene di fatto quasi sempre molti di piu’, non conviene a nessuno rendere pubblico un conteggio reale dei presenti.

 

La rivolta e l’incendio sono scoppiate dopo che il giorno prima era morto un uomo tunisino, ma e’ un anno intero che i detenuti del centro lottano contro la loro quotidiana tortura.

Qua sotto pubblico del materiale tratto dal sito della Rash Paris-banlieue. Ci ho messo diverso tempo a tradurlo, e’ piuttosto lungo, ma mi sembra interessante.

Qui invece ci sono dei link utili per saperne di piu’:

 le monde sull’incendio di Vincennes (fr)
MeltingPot sull’incendio (it)
Comunicato del 9me collectif (it) 
Rue89 (video etc. – fr)
 
Wikipedia sui CRA (fr) 
Un ripassino sui cpt italiani (wikipedia it)  

 

La rivolta continua!

(versione originale)

Meta’ dicembre 2007, una lotta e’ iniziata dentro il centro di
permanenza amministrativa (CRA)*1 di Mesnil-Amelot, vicino a Roissy:
scritte sulle magliette, lettere di lamentele, rifiuto di entrare nelle
stanze, sciopero della fame. Il 27 dicembre, per stroncare la lotta,
Abou, considerato dalla polizia come uno degli agitatori del movimento,
e’ stato trasferito al CRA di Vincennes. Lo stesso giorno, i detenuti
di Vincennes hanno intrapreso a loro volta uno sciopero della fame e
hanno rifiutato di rientrare nelle loro stanze. Nella notte tra il 28 e
il 29 dicembre 150 CRS *5 hanno fatto irruzione nel centro per
costringere, manu militari, i detenuti a raggiungere le proprie stanze.
Una repressione senza precedenti! Alcuni detenuti sono stati gravemente
feriti. In tre notti di seguito, i CRS hanno domato la rivolta. Da sei
mesi, non una settimana e’ passata senza che i detenuti rifiutassero di
mangiare, di entrare nelle proprie stanze, senza che strappassero i
propri documenti e solidarizzassero contro le violenze della polizia.
Di fronte all’arbitrarieta’ e alla repressione, i detenuti hanno scelto
la rivolta. Le rivendicazioni sono chiare: lo scopo non e’ quello di
migliorare le condizioni di detenzione, ma di lottare contro le
espulsioni e per la chiusura dei centri di detenzione.
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Impronte digitali

 

il vernacoliere

bene, siccome son tempi tristi ho deciso di ravvivare un po’ l’ambiente con una cernita di locandine del vernacoliere, non e’ giusto che chi non vive in toscana non possa giovarsi di questa risorsa. almeno in formato bignami via. 

Nascita del mito dell’insicurezza

banlieueSono finalmente tornata a Parigi. Pochi giorni, poco tempo per fare tutto quello che avrei voluto. Mi e’ bastato solo per riempirmi di immagini e portarmi a casa un libro che sto piano piano divorando. La France a peur – une histoire sociale de l'”insécurité”, di Laurent Bonelli.  Ed. La Découverte, Paris 2008.

Negli ultimi mesi ho passato diverso tempo a studiare lo sviluppo economico e sociale francese dal dopoguerra in poi, per cercare di capire come sono nate le banlieues e perche’. In Italia i pochi studi che ho trovato sul tema si concentrano sempre sull’aspetto urbanistico o su quello antropologico. Dicono un po’ tutti le stesse cose, scopiazzando grossolanamente l’uno o l’altro antropologo francese. Rimanevo sempre con la sensazione che mancasse qualcosa, che il discorso fosse troppo tirato per i capelli e che in fondo i passaggi non tornassero.

Questo libro e’ estremamente chiaro e ha colmato diversi vuoti nell’idea che avevo iniziato a farmi della situazione. Mi si sono accese molte lampadine e ho iniziato a scrivere le prime impressioni che sono riuscita a trarne, essenzialmente storiche, forse interessanti per capire anche una serie di fenomeni che sono avvenuti (o avverranno) anche qui da noi. Il mito della sicurezza (anzi, dell’insicurezza, ribaltando efficacemente la prospettiva) in Francia e’ nato molto prima che in Italia, e sebbene sono convinta che non si possano accostare troppo semplicisticamente due paesi con due tessuti e due storie cosi’ diverse, ci sono cose che mi sono suonate molto familiari.


La Francia esce dalla Seconda guerra mondiale con un territorio
sconvolto e devastato. I Francesi hanno fame e non hanno casa, ai
margini delle città, in quelle che sono ancora le zone rurali, la gente
si ammassa in vere e proprie favelas, con case di fortuna e in
condizioni estremamente precarie.

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Umorismo fiorentino

Era un sacco di tempo che passando davanti a questa scritta maledicevo di non avere dietro la macchina fotografica. alla fine ho trovato qualcuno meno pigro che e’ riuscito a immortalarla.

maddai!

parkour

Il parkour. L’arte della fuga. L’arte di superare gli ostacoli in modo semplice e elegante.

Mi posso immaginare come David Belle si sia inventato questo passatempo immerso nel grigiore dei palazzi delle banlieues parigine degli anni ottanta. Un po’ come ci raccontavano i nostri genitori (o i nostri nonni, per chi e’ piu’ giovane). Quando erano piccoli i giocattoli se li dovevano inventare con quello che c’era. Mi ricordo che mia mamma faceva collane di pasta e bambole con i fiammiferi.
Se vivi in carcere impari a camminare sui muri.
Per chi non ha i soldi da regalare a una plastificata palestra, la strada e’ il regno per allenarsi.
I muri che ti separano dalla ville si scalano e si saltano, le impalcature per costruire le enormi case(rme) sono alberi in cui arrampicarsi. Come scimmie, o come gatti, si impara a ridere delle gabbie, si impara a scivolarne fuori con agilita’ e eleganza.
E forse una volta tanto, l’importante non e’ l’atterraggio, ma la caduta.

Un po’ di riferimenti:

http://www.parkour.it/

http://www.leparkour.splinder.com/


http://www.le-parkour.com/ 

Intervista a Ian MacKeye


Ho trovato questa intervista a Ian MacKeye su un numero dell’anno scorso di "Barricata", la rivista della Rash di Parigi. Questa volta il mio francese ha dovuto fare il triplo salto mortale di una traduzione da una traduzione. Quindi voi dovrete essere tre volte piu’ gentili a perdonarmi eventuali incomprensioni e punti oscuri. Come sempre metto anche il link al testo originale, se qualcuno vuole aiutarmi a migliorare la traduzione io sono molto contenta!

Penso pubblichero’ altre cose da questa rivista, ho in ponte la traduzione di un interessante articolo sulle banlieues e altre cosette.

La prima parte e’ un po’ piu’ fiacca, penso a causa delle domande francamente un po’ imbarazzanti dei tipi. Dopo pero’ sono rimasta impressionata dalla lucidita’ di alcuni passaggi e da alcune piccole considerazioni non banali. Leggetevela, dice delle cose proprio belle.

Versione originale

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