Leccio

Venerdi’ scorso e’ uscito il quarto numero di Ruggine. Ogni volta mi stupisco di trovarmela fra le mani in carne e carta, densa dei nostri racconti, delle nostre fantasie, paure e entusiasmi. Piano piano nel tempo mi arrivano lenti commenti di amici e creature simili che finora hanno letto in silenzio. E’ difficile avere a che fare con la scrittura, e’ inusuale nei nostri giri, purtroppo. C’e’ da tirare fuori un bel po’ di viscere e lasciarle li in bella vista, sotto gli occhi crudeli di tutti. Sono contenta che questo buffo amalgama di creature rugginose riesca ancora a farlo e sempre meglio. Ne sono molto orgogliosa.

E mentre vi sprono a non lasciarci soli al nostro destino di scribacchini, prenotando su Pdb la vostra copia di Ruggine (seguite il banner nella colonna qui a fianco) o abbonandovi a Ruggine o diventando coproduttori… ecco un racconto che ho scritto per questo numero.

 

Leccio

Stava arrivando il primo freddo.
Puntuale e metodico si presentava come tutti gli anni con un vento gelato e secco.
Leccio camminava pesticciando le foglie distese in terra. Non facevano quel crepitio sordo autunnale, le lunghe piogge le avevano ammorbidite e impastoiate di fango.
Si tiro’ su il bavero del giacchetto. Era un gesto che lo faceva sentire meglio, gli dava il senso dell’inverno.
Quest’anno, si disse, sarebbe arrivato preparato al freddo. Avrebbe fatto la formica, avrebbe messo via combustibile e bei ricordi abbastanza per non farsi sorprendere dalla malinconia.
Spinse il cancello in avanti e se lo richiuse alle spalle con gesti attenti. Apri’ la piccola porta di vetro e fece un passetto sullo zerbino. Si volto’ e il tramonto rosso spariva veloce dietro la montagna. Cominciava un’altra sera ed era tempo di rientrare in casa.
Mise un ciocco di legno dentro lo sportello della cucina e inizio’ a prepararsi il te’. Erano passati diversi mesi da quando si era procurato quel pacchetto di te’ nero. Non ne rimaneva molto in giro e li’ al nord era proprio difficile pensare di coltivarlo. Il piacere del te’ era quindi riservato all’inverno, le foglie venivano riutilizzate piu’ volte e ci si aggiungeva qualche bacca di ginepro o rosa canina. Quando calava un po’ il vento Leccio si spingeva anche a raccogliere il timo che cresceva sui dirupi in riva al mare. Era buono il timo marino, e gli calmava quella fastidiosa tosse stagionale.
Un giorno Leccio si era spinto un po’ piu’ in giu’, dopo la galleria, nel dirupo vicino al molo verde dove galleggiavano le immense rovine di quell’albergo mai finito. C’era un’intera parete di nasturzi. Anche i nasturzi erano buoni, se ne mangiavano i fiori in insalata, insieme alle foglie di tarassaco. E li’, mezzo nascosto dalla sabbia e dai rami secchi c’era questo disco di metallo arrugginito. Leccio si era avvicinato stando attento a non inciampare nelle alghe e negli ossi di seppia.
Appurato che il disco non fosse rovinato, rotto, o in qualche modo ferito, Leccio aveva controllato che la marea non lo lambisse.
“Buonasera. Se ne sta a prendere un po’ d’aria di mare, eh?”
Il disco non rispose, ma d’altra parte neanche si ritrasse dalla conversazione.
“Mi scusi sa, ma non si incontra molta gente ultimamente e a me piace ogni tanto scambiare il calore di qualche parola.”
“Sta bene vero? Non sara’ mica arrivata qui dal mare? Deve stare attenta all’acqua e alla salsedine.”
“Anch’io non posso andare in acqua. Cioe’, non per molto tempo. Sono fatto di stoffa, vede? Mi impregno di acqua e poi camminare e’ piu’ difficile, le zampe si fanno pesanti e se non mi asciugo in fretta finisco anche col muffire.”
Il disco non aveva detto niente, ma non sembrava disdegnare un po’ di compagnia.
“Una volta ho visto un’altra come lei. Tendete ad esplodere, vero? Ho un amico che una volta e’ saltato in aria perche’ e’ inciampato in una come lei. Non l’ha fatto apposta. Gli ci e’ voluto un po’ per rimettere insieme i pezzi e tutta l’imbottitura. Adesso sta bene comunque. Tranne quel bottone ballerino al posto dell’occhio e l’orecchio un po’ rovinato. Sta bene comunque adesso, non si preoccupi, davvero. E’ nella vostra natura esplodere e nella nostra saltare in aria e riaggiustarci.”
Il disco gli era parso un po’ amareggiato da quella storia. Forse non era stato tanto il caso di entrare in certi argomenti.

 

“Ancora le giornate sono lunghe e luminose. Ha fatto bene a fermarsi qui un po’, ci sono un sacco di colori. Io ne prendo sempre il piu’ possibile di colori, li colgo, li assorbo, li tengo negli occhi, mi servono per quando arriva l’inverno, per le serate che devo passare a ricucirmi.”
“Finisce che poi le cuciture mi vengono colorate. E’ una cosa buffa, sa? Non so come succede. Finisce che queste mie cuciture mi vengono bene e sono belle. Non trova che siano bellissime?”
Il disco non aveva risposto, ma non lo aveva contraddetto e anzi sembrava mostrare una certa compartecipazione sul discorso delle cicatrici.
“Bene, me ne torno a casa. Devo fare ancora qualche preparativo per l’inverno. Questa volta non mi faro’ cogliere impreparato, sa? Magari torno a trovarla uno di questi giorni, se e’ ancora qua. Arrivederci”.
Aveva dato un’ultima occhiata al disco prima di voltarsi e si era ricordato della sciarpa di cotone blu che si portava dietro per quando si alzava improvviso il vento. L’aveva sistemata con cura sul disco e l’aveva rincalzata bene in modo che gli tenesse un po’ caldo e lo riparasse almeno un po’ dall’alta marea.
Poi aveva ripreso a raccogliere i nasturzi che ricamavano il tragitto verso casa.

 

La teiera fischio’. Leccio si verso’ il te’ nella tazza, ci mescolo’ un po’ del suo adorato miele e si sistemo’ sulla poltrona davanti al camino sgranocchiando un biscotto. In fondo l’inverno e’ una piacevole sensazione, si disse mentre tirava su le zampe sulla poltrona e si addormentava al calore del caminetto.

Hc local heroes

Era un po’ che cercavo un attimo di quiete per diffondere qualche notizia sull’insano mondo del hc fiorentino e dei suoi eroi.

Primo. E’ uscito il disco dei Carlos Dunga. Qualche tempo fa era uscito uno split con i Deep Throat e un 7′ molto vintage, ma adesso vengono accontentati anche quelli che come me hanno rotto la puntina del giradischi. Una coproduzione ovviamente DIY che non puo’ mancare nei vostri scaffali da collezionisti di punk moderno.
Questo il sito dei suddetti Carlos Dunga, qui invece potete ascoltarvi i pezzi direttamente.

 

Secondo. Gli Alfatec hanno fatto un pezzo dedicato a un certo posto occupato di nostra conoscenza. Sono piccole cose che ti fanno venire i brividi, piccole cose che conservi addosso e ti tieni da parte per i giorni di sconforto. Il pezzo si chiama The-boyz-are-back-in-town. Vecchi emersoniani ringraziano felici come bambini.

Osservati dall’inganno

Ecco un altro raccontino, questo pubblicato un annetto fa nel libro “Il Babau – Paura del buio?!”. L’illustrazione è di Tuono Pettinato (ed è anche una delle mie preferite nel libretto del Babau)

tuono pettinatoOsservati dall’inganno

Il suo respiro era ancora regolare, ma il battito stava accelerando velocemente, lo sentiva.
I suoi passi erano deboli, timidi. Ogni suo muscolo era teso al silenzio, votato all’invisibilità.
Dal fondo della colonna vertebrale saliva la paura. le sue orecchie cercavano ogni rumore, e per farlo le immaginava più grandi, più mobili.
Sentiva anche i vermi strisciare, ogni foglia calpestata era l’indizio di un pericolo.
Il suo sangue nervoso scorreva come velluto nelle vene cercando di non essere visto.
Piano piano il respiro accelerò, a comando del battito.
I suoi passi affrettarono l’urgenza della paura. D’improvviso non poteva più nascondersi, era visibile al mondo, visibile alle foglie e all’aria.
Corse. Corse in uno stato quasi di incoscienza, la paura e la tensione lottavano contro i muscoli lanciati a cavallo del vento.
Si fermò atterrando il suo ultimo balzo quando la distanza gli fu chiara.
Il calcolo venne giusto. Le zampe caddero in una presa salda, gli artigli scattarono afferrando la schiena e il collo dell’animale. La sua bocca, la sua bocca divenuta enorme si avventò su quel torace, i denti davanti lacerarono la carne e la lingua cominciò a leccare avidamente il sangue. Il respiro era di nuovo regolare, il battito lento, la paura finita.

Licheni 3

(senza illustrazioni.. e’ troppo presto!)

Licheni
parte terza

La signora Apricot appoggiò la tazza di tè sul piattino facendo attenzione a non produrre un rumore troppo secco.
-Del resto Signora Cerise, gli anni in cui ci troviamo sono anni terribilmente instabili.
-…instabili e pericolosi, mi faccia aggiungere.
La signora Cerise diede un fugace sguardo di cupidigia all’ultimo pasticcino rimasto sul vassoio ovale.
-Si dice che il Generale Saprofit stia progettando un contrattacco di straordinaria potenza.
-Pensa che useranno dei nuovi tipi di macchine? Un nuovo modello di uomo meccanico magari?
La signora Apricot si massaggiò la trina che le fasciava il collo.
-Non credo cara, gli uomini meccanici sono ormai obsoleti. Mio marito dice sempre che certi congegni possono andare bene solo per gli scopi civili. Come la sua Zamedite.
-Beh dobbiamo riconoscere che questi uomini meccanici sono stati un regalo di Dio. In questo periodo di infauste ristrettezze molte oneste famiglie sarebbero state costrette a privarsi dei servigi di domestici affidabili.
-Mio marito dice che nel campo bellico stanno avvenendo molti progressi tecnologici. Dicono che da quando l’industria cosmetica ha venduto la ricetta all’Esercito le nostre possibilità di vincere questa guerra sono diventate una certezza.
-Anche senza uomini meccanici?
-Ma cara, molto meglio!
La signora Cerise si lasciò sfuggire un risolino.
-Non si dimentichi che gli uomini meccanici restano pur sempre uomini, anche se con qualche optional in più.

Zam entrò silenziosamente nella stanza portando un nuovo vassoio carico di pasticcini.
-Zamedite, cara, puoi portarci anche qualcuno di quegli zuccherini all’anice che piacciono tanto alla nostra signora Cerise?
-Oh, cara, lei mi vizia..!
-Mi dispiace Signora, sfortunatamente gli zuccherini sono finiti e anche il Signor Fleen giù all’angolo li ha terminati.
-Oh santa pazienza, quel Fleen è buono solo a lamentarsi. Vai al porto cara, fammi questo favore. Sono sicura che la drogheria della signora Bienvenue non ci deluderà.

Zam si produsse in un impercettibile inchino e si dileguò.
-Davvero una cara ragazza la sua Zamedite.
-Ha proprio ragione. Questi uomini meccanici sono così puliti e piacevoli, non riesco proprio a capire perchè vengano così tanto bistrattati in certi ambienti popolari.
-Il garzone del meccanico qua sotto, lui sì è spaventevole. Quello strano mutante con gli occhi viola, mi mette i brividi ogni volta che passo davanti all’officina.
-Ma sa, quelli sono sbagli della natura. Errori a cui abbiamo cercato di dare una seconda possibilità. Nulla a che vedere con gli uomini meccanici, frutto di sapienti tecniche. Gli uomini meccanici uniscono l’intelligenza dell’uomo alla perfezione della macchina.
-E’ quello che dice sempre anche mio marito, signora Apricot. Ma non riesco a resistere a questi splendidi pasticcini. Me ne faccia assaggiare un altro.

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Licheni 2

Licheni
Parte seconda

Il cervo li osservava con una perfetta aria bovina. Gli occhi liquidi, la bocca piegata in un prevedibile sorriso placido.
Quando si alzò, lo sforzo gli piegò gli angoli della bocca e le sue lunghe zampe compirono molti sgraziati movimenti nel tentativo di ritrovare una posizione normale.
Zam continuava a fissare quel cervo scoordinato riconoscendoci un qualcosa di familiare, un’inadeguatezza consueta.

Dei rumori metallici schioccarono le dita dentro al cervello di Zam: Typtri era già lontano, perso di nuovo a rovistare nelle macerie che ornavano il bosco. Zam lo raggiunse, cercando di schivare la strana sensazione che il cervo li stesse seguendo. Ma in effetti li stava proprio seguendo, lento e inesorabile come una mucca che mastica trifogli.

– Quella deve essere la fabbrica.
Typtri si era fermato davanti a un cancello divorato dalla ruggine. Dietro al cancello c’era una di quelle grandi sbarre a righe rosse e bianche. Era sollevata a farti passare, e probabilmente era così da un bel po’ di tempo. Sulla sbarra e sull’asfalto correva l’edera per cercare disperata un po’ di terra. Correva anche su un ibisco, un grande ibisco viola fiorito a guardia del cancello.
Alle spalle della sbarra e del cancello c’era la fabbrica. Tre grossi capannoni giallo sbiadito, con i tetti a spina di pesce lanciati verso ovest.
Mentre entravano Zam inciampò in una lattina arrugginita di birra e il silenzio accogliente di quel posto le accarezzò la faccia. Continue reading →

Licheni

Buffamente mi sono resa conto solo ora di non aver mai messo su questo blog i miei racconti pubblicati via via su Ruggine. Rimedio adesso, cominciando da Licheni, un racconto lungo diviso in tre puntate (che per comodita’ spezzo anche qui in tre post). La terza e ultima parte verrà pubblicata sul quarto numero di Ruggine, ma la metto subito anche qui “in anteprima”.

Le illustrazioni le ha fatte Stefano Artibani, che ringrazio ancora per essere riuscito a immaginare cosi’ bene le mie parole.

Licheni

parte prima

licheni 1

Mentre camminava la punta delle scarpe si confrontava con un pietrisco di mattoni
e oggetti metallici spenti.
C’era un’aria fredda e tagliente, si riaggiustò il bavero del cappotto.
Solo dieci minuti prima la pioggia cadeva spietata, adesso il cielo sembrava pacificato e l’aria ripulita, uno sfogo come di pianto.
Annusava l’aria, le macerie tutt’intorno sapevano di bosco. I mattoni rotti, i blocchi di cemento sbeccati, quelle piccole isole di asfalto che ancora ogni tanto spuntavano da sotto l’erba.
Arrivò alla Porta-con-la-bocca. Veniva chiamata così perché delle due ali del portone di ferro era rimasto solo un paio di grosse schegge in alto che formavano gli zigomi di un faccione con la bocca aperta.
Era una bellissima porta, una delle sue preferite, una delle tante rimaste a custodire palazzi immaginari e fabbriche invisibili. Come tutte le altre, la Porta-con-la-bocca non serviva assolutamente a niente, era solo il ricordo di ciò che una volta custodiva. E come per tutte le altre, non ti saresti mai sognato di non usarla, di prenderti gioco di lei magari passando di lato.

Seduto sulla balaustra di una finestra orfana c’era Typtri. Continue reading →

il rogo della vanita’

rogo della vanita'E’ uscita la quarta autoproduzione Fenix: Il rogo della vanita’ di Alèssi Dell’Umbria. Un libro scritto sulle fumanti macerie dei roghi delle banlieues francesi.

Me lo sono immediatamente procaccciata, e ho scoperto che e’ proprio il libro che avrei voluto da tempo saper scrivere per raccontare in italia quello che scorre nelle vene delle periferie di francia. Ci sono altri testi che spiegano bene quello che succede, ma ancora non ne avevo trovato nessuno tradotto in italiano. Mi ero detta "traduci La France a peur di Laurent Bonelli, dai.." ma cristiddio sono piu’ di 400 pagine, e il mio francese e’ troppo lento. Avevo pensato di provare a sintetizzare io qualcosa, ma una vocina in testa mi continuava a far rimandare, convincendomi che in fondo, un libro cosi’ lo deve scrivere chi queste cose le ha vissute.

Ecco, insomma questo libro e’ arrivato. E ad eliminare una volta per tutte (se ce ne fosse bisogno) la stupida idea che l’erba del vicino e’ sempre piu’ verde e che solo l’editoria commerciale fa cose serie, ecco che questo libro e’ uscito no copyright e autoprodotto dalla torino squatter.

Troppi sorciologi e militanti parlano dei banlieusards alternando bile e bava, incerti tra il disprezzarli come feccia nichilista o osannarli come rivoluzionari del domani. Le banlieues a me continuano a
sembrare degli enormi cimiteri di elefanti dove ha trovato la morte il
mastodontico modello paternalista francese. Il modello di "integrazione", o peggio
di "inclusione", dove per essere qualcuno devi farti includere e
integrare, dove quest’integrazione e’ pero’ a senso unico e non c’e’
alcuno scambio ne’ ricchezza di vedute.

La
retorica francese chiama molto efficacemente le banlieues "quartieri
difficili" o "zone sensibili". Chi vive in questi ghetti e’ un
"soggetto da aiutare", da isolare o da integrare. L’unica identita’ che ti e’ concessa e quella di vittima, di animale marginale, prodotto di uno scarto. C’e’ chi prova ad aiutarti, cercando di dipingerti una faccia da normale, e chi vorrebbe solo che tu scomparissi senza lasciare traccia, smettendo cosi’ di ricordargli continuamente le impietose contraddizioni di questo meraviglioso mondo. Ma tu rimani qualcuno fintanto che rimani una vittima, finche’ rimani calato nel personaggio. Se non ti fai integrare sei il diverso tra i diversi, se accetti di farti integrare (come nel caso delle prime generazioni di immigrati) rimani comunque un diverso che arranca per farsi accettare dai normali. Non c’e’ via d’uscita nel non futuro predestinato. Quando ti accorgi di questo inizi a prendere fuoco, e’ la tua stessa vita a bruciare. Per questo le rivolte nelle banlieues possono essere solo cosi’ splendidamente nichiliste e disperate, con buona pace di chi le preferirebbe piu’ organizzate, piu’ comprensibili e piu’ indirizzabili.

Di questo e molto altro parla il libro. In un racconto preciso e credibile, con una compartecipazione dolorosa e lucida. A firenze lo trovate nella distro del NextEmerson, altrimenti seguite questo link.

Il buco quadrato

bucoquadratoL’inverno scorso mi sono letta questo libretto trovato in distribuzione al babilonia.

E’ un racconto di un pezzo di vita, di alcune scelte, di alcune peripezie. L’ho trovato di un’umilta’ disarmante, senza alcuna pretesa di dare buoni o cattivi esempi.

Facendo vari giri poi ho scoperto che e’ interamente scaricabile su autistici. http://www.autistici.org/il_buco_quadrato

"Quattordici anni fa mi licenziai dalle Ferrovie dello Stato.
Era il 1992, nel mese di settembre ed ero veramente contento della mia scelta.
Aprivo una porta misteriosa ed entravo in una nuova dimensione."
 

E’ piu’ o meno un anno che mi ripropongo di andare a campo di marte a regalarlo al mio amico ferroviere, poi come tante cose, non l’ho mai fatto.  Se il mio amico ferroviere mi legge so che sornione scuotera’ il capo, si scarichera’ il pdf e leggendolo forse perdonera’ le mie mancanze.

 

Anti Mtv Day

Il 15 agosto a Bologna, la citta' piu' libera del mondo, ci sara' l'annuale Anti-Mtv Day.

Questo il sito.  http://www.donnabavosa.com/antimtvday

Questo e' il contenuto della sezione pippone
. Non metto il link perche' tanto so che siete pigri e quindi vi
incollo sotto il testo. Come ogni anno mi ritrovo ad apprezzarne la
lucidita' e la chiarezza. Spunti mai banali, interessanti e soprattutto
incoraggianti (lo so, sembra un paradosso data l'amarezza dei toni, ma
invece e' proprio cosi').

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POST- MTV

I will be here when they'll be dead and fucking gone. And I don't know what's cool anymore

Questo festival è nato 6 anni fa come prosecuzione naturale
dell'energia che la scena DIY Hardcore aveva espresso negli anni 90,
un'energia che tentava di convogliare la spinta distruttiva del Punk
verso la costruzione a piccoli passi di una nuova sottorealtà. Una Rete
di punti luminosi che nascevano autonomamente e che trovavano la
conferma della propria esistenza negli altri punti luminosi, fino a
creare una tessuto che si autososteneva e si rafforzava con il
moltiplicarsi dei suoi nodi, in Italia e successivamente fuori
dall'Italia.

Sotto questo lento processo di tessitura di una Rete ci sono idee e
visioni del mondo comuni, riguardanti l'approccio al sistema dei
consumi e dei bisogni indotti, la critica delle strutture gerarchiche,
il tentativo di resistenza quotidiana al sistema di produzione
forsennata basata sul lavoro, e non ultima la lotta alla mercificazione
della cultura. In quest'ottica, la vita quotidiana è politica. La
comunicazione è politica. I mezzi di comunicazione sono mezzi e non
fini, le forme di espressione sono forme e non materie.

E' passato quasi un decennio, e sotto i nostri occhi questa realtà è andata modificandosi.
Da un lato, la comunità si è allargata grazie alle immense possibilità che Internet ci ha messo a disposizione.
Dall'altro lato, i contenuti espressi da questa rete sono andati via
via sfumando e perdendo definizione, fino a scomparire, in alcuni casi.
Da un lato, la quantità delle voci è aumentata a dismisura in maniera democratica.
Dall'altro lato, la qualità e l'intensità dell'urlo si è affievolito in un brusìo generale. La folla.

L'Anti[MtvDay] è sempre stato un tentativo, riuscito o meno, di
ridefinire scopi e metodi, di alzare i toni, di cercare un paradosso
consapevole per mettere a fuoco la questione dei contenuti che una
scena indipendente DEVE per sua natura esprimere. Senza contenuti di
rottura non c'è scena indipendente. E poi LA domanda: indipendente da
cosa?

Nel 2007 Bologna già da tempo non è più centro culturale, né
mainstream, né underground. Nel 2007 MTV abbandona la città di Bologna
come sede del suo festival. L'Anti[MtvDay] perde così il suo divertente
aspetto provocatorio culminato l'anno scorso con l'accoglienza di
numerosi sfollati dall'Arena Parco Nord per colpa della pioggia inviata
dagli dei del metal, e catapultati in una realtà opposta, per molti
versi contraddittoria ma ai loro occhi assolutamente nuova.
Nel 2007 quello che chiamavamo "il popolo di MTV" adesso è una generazione intera.
Per un'analisi del "popolo di MTV" è ancora valido IL PIPPONE degli
anni scorsi, ma solo in parte. MTV in questi anni è infatti diventata
un rete televisiva generalista, nella quale il ruolo della musica è
andato via via diminuendo fino quasi a scomparire, fatta eccezione per
i suoi canali satellitari che non possono però essere definiti
influenti sulla mentalità di una generazione. MTV si riposiziona nel
settore di Rai e Mediaset. I suoi vecchi conduttori sono assunti da Rai
e Mediaset. Le sue nuove conduttrici sono veline. MTV è una rete come
le altre, dunque non ce ne frega un cazzo.
Per quanto riguarda noi e il nostro discorso, MTV non esiste più, e non
ci interessa più (a parte per deridere/insultare gente discutibile le
cui facce compaiono su quel canale) ma gli effetti della sua esistenza
sono presenti nella realtà e ormai assimilati.

Quello che resta è il Post-MTV, forse a tratti ancora più terrificante
dell'era di MTV stessa. Parliamo della nuova generazione di Myspace.
Parliamo del neonato consumismo del Punk HC DIY. Parliamo del mischione
impastato fra realtà DIY e situazioni "Wannabe Major", parliamo di
processioni per inerzia a quel convivio di ipocrisie chiamato Miami.
Parliamo della moltiplicazioni di gruppi alla ricerca di trampolini di
lancio verso il Nonsisacosa, o forse si sa cosa, è la vecchia volpe e
la vecchissima uva, è l'utilizzo dell'Underground come primo passo
verso l'Overground, è l'hype usa-e-getta, il tentativo di sentirsi
tutti artisti in nuce nell'epoca del precariato globale.
In tutto questo la Rete reale è scomparsa, sostituita dalla rete di
amichetti (il cui unico pensiero è grazie per l'add) ridisegnata dai
geni di Murdock. I contenuti sono andati in secondo piano. Si ascoltano
i gruppi su Myspace (non lo strumento tecnologico, di per sé utile e
comodo, è in discussione ma l'utilizzo sociale che se ne fa), massimo 3
pezzi da 3 minuti, compressi, senza testi, senza niente, senza un
oggetto in mano di cui nutrirsi per un mese. Non si divora, non si
digerisce, ci si limita a masticare e sputare, in alcuni casi a cagare.
Il valore dei gruppi spesso è intangibile. L'importante fase della
Gavetta è sparita. Ci sono dieci miliardi di gruppi e non si capisce
chi cazzo durerà più di una stagione, né chi sia in grado di forare, di
spanare, o rifilettare. Siamo tornati nelle tane paghi delle tastiere,
e la musica è tornata ad essere musica, ha perso la sua natura di mezzo
per raggiungere qualcos'altro, ha smesso di veicolare un idea e una
speranza. O magari no.
Rimangono, nella foschia della rete, cittadelle fortificate che ancora
tengono in vita la voglia di lottare, a volte con molta buona volontà
ma con linguaggi sbagliati o obsoleti, a volte con buoni sistemi
comunicativi ma poche forze per agire sulla realtà. Il resto si
ricombina, si smonta e si ridisegna come Meccano a velocità
impercettibile all'occhio e all'analisi, tentando invano di ricostruire
il fossato coi coccodrilli che dovrebbe dividere Underground da
Overground

Ma non è una catastrofe. E' solo guardare la battaglia dalla collina, ed essere ancora nano.

Quest'anno il titolo del Festival rimane lo stesso, ma il colpo di coda
è un altro. E' il tentativo estremo di un pesce che si dibatte fuori
dall'acqua. E' lo sforzo per un reload della linfa vitale di una
sottocultura. E' l'introduzione di una speranza di un cambiamento che
riattualizzi i contenuti, da sempre veicolati da questo sottobosco,
nella realtà degli anni 2010.
E' l'auspicio, un giorno, di poter riaprire la bara e trovarci qualcosa di nuovo.
Di ricette non ce ne sono, c'è solo la volontà di metterci tutti di
fronte ad un periodo di grossi mutamenti e alla necessità di non
perdere tutto e di non perdersi.
Vogliamo che la breccia continui e non si fermi. Chi ha nuove idee,
nuove forme, la forza di spaccare tutto, faccia un passo avanti nella
nebbia.

Alla fine è solo un Festival Punk HC, giunto alla sua sesta edizione.
Essici per vedere se e cosa vuol dire ancora Punk HC nel 2007. Essici
per tastare il polso di una situazione, per vedere ciò che succede, ciò
che non succede, ciò che potrebbe succedere.
Tutto si crea, tutto si distrugge, niente si trasforma. Ma l'energia si
può trasmettere attraverso lo spazio e attraverso il tempo.
Vado a togliere Also spracht Zarathustra dallo stereo. Non so se mi fa bene.

Strano Punk

Ravanando nel blog di Longinoptikal
sono finita nella storica pagina di Strano Network dedicata al punk.
Mamma mia! Essenza di quello che penso sia la fascinosa contaminazione
tra cyber e punk ..

ve la ripropongo senza altro dire.. 

http://www.strano.net/town/music/punk.htm

(non tutti sanno che… strano network e' nato al vecchio-vecchissimo emerson.. i corsi e ricorsi della storia)