This is england

“Per la prima volta entravo in contatto con un gran numero di persone di condizione proletaria, con una tale varieta’ di accenti regionali che ci voleva un orecchio allenato per decifrarli. Girando nella zona di Birmingham ero stupito nel vedere che vita triste facessero, quanto poco venissero pagati, quanto male venissero istruiti, alloggiati e nutriti. Per me erano una grande massa di forza lavoro sfruttata, piu’ o meno allo stesso livello degli operai industriali di Shanghai. E mi fu anche chiaro, fin da subito, che il sistema classista inglese che conoscevo direttamente allora per la prima volta, non era un pittoresco vestigio del passato, ma un sistema di controllo politico. Nei tardi anni quaranta e cinquanta la gente delle classi medie vedeva la classe operaia quasi come fosse un’altra specie, e per escluderla si barricava dietro un complesso sistema di codici sociali.

Codici che dovevo imparare adesso per la prima volta – mostrare rispetto per gli antenati, non essere mai troppo entusiasta, stringere i denti, essere gentili con i piu’ giovani, rispettare la tradizione, stare in piedi quando si suona l’inno nazionale, offrire la propria guida, essere riservato e cosi’ via, tutto calcolato per creare un senso di opprimente deferenza (…). Nella vita delle classi medie inglesi tutto ruotava intorno a codici di comportamento che, per quanto incosciamente, incoraggiavano a praticare la mediocrita’ e a non aspettarsi mai troppo dalla vita (…).

In breve, non pagavano gli inglesi un prezzo salatissimo per il sistema di autoillusione che era praticamente alla base di tutta la loro vita? Era la domanda che sembrava balzare agli occhi dalle strade dissestate e dalle buche delle bombe quando misi piede per la prima volta in Inghilterra, e che in gran parte fu all’origine della difficolta’ che trovai ad ambientarmi qui. Essa alimento’ la mia incertezza su me stesso, e mi incoraggio’ a vedermi per il resto della mia vita come un estraneo e un dissdente. Probabilmente mi indirizzo’ nel diventare uno scrittore specializzato nel prevedere e, se possibile, provocare il cambiamento. Il cambiamento, pensavo, era cio’ di cui l’Inghilterra aveva disperatamente bisogno: e lo penso ancora adesso.”

J.G. Ballard – I miracoli della vita – Feltrinelli 2009

Penso a questo mentre guardo le immagine delle rivolte in Inghilterra. Penso a questo e alla bellissima scena finale di This is England, di Shane Meadows. Uno dei pochissimi film su una controcultura fatto come si deve. Fra l’altro, nell’avanzatissima italia questo film del 2005 esce tra due settimane al cinema, andate a vederlo.

Qualche parola a caldo (ma lucida quanto serve, e quanto serve!) —> http://redcat-tripping.noblogs.org/2011/08/09/la-rivolta-di-londra-commento-a-caldo/

il rogo della vanita’

rogo della vanita'E’ uscita la quarta autoproduzione Fenix: Il rogo della vanita’ di Alèssi Dell’Umbria. Un libro scritto sulle fumanti macerie dei roghi delle banlieues francesi.

Me lo sono immediatamente procaccciata, e ho scoperto che e’ proprio il libro che avrei voluto da tempo saper scrivere per raccontare in italia quello che scorre nelle vene delle periferie di francia. Ci sono altri testi che spiegano bene quello che succede, ma ancora non ne avevo trovato nessuno tradotto in italiano. Mi ero detta "traduci La France a peur di Laurent Bonelli, dai.." ma cristiddio sono piu’ di 400 pagine, e il mio francese e’ troppo lento. Avevo pensato di provare a sintetizzare io qualcosa, ma una vocina in testa mi continuava a far rimandare, convincendomi che in fondo, un libro cosi’ lo deve scrivere chi queste cose le ha vissute.

Ecco, insomma questo libro e’ arrivato. E ad eliminare una volta per tutte (se ce ne fosse bisogno) la stupida idea che l’erba del vicino e’ sempre piu’ verde e che solo l’editoria commerciale fa cose serie, ecco che questo libro e’ uscito no copyright e autoprodotto dalla torino squatter.

Troppi sorciologi e militanti parlano dei banlieusards alternando bile e bava, incerti tra il disprezzarli come feccia nichilista o osannarli come rivoluzionari del domani. Le banlieues a me continuano a
sembrare degli enormi cimiteri di elefanti dove ha trovato la morte il
mastodontico modello paternalista francese. Il modello di "integrazione", o peggio
di "inclusione", dove per essere qualcuno devi farti includere e
integrare, dove quest’integrazione e’ pero’ a senso unico e non c’e’
alcuno scambio ne’ ricchezza di vedute.

La
retorica francese chiama molto efficacemente le banlieues "quartieri
difficili" o "zone sensibili". Chi vive in questi ghetti e’ un
"soggetto da aiutare", da isolare o da integrare. L’unica identita’ che ti e’ concessa e quella di vittima, di animale marginale, prodotto di uno scarto. C’e’ chi prova ad aiutarti, cercando di dipingerti una faccia da normale, e chi vorrebbe solo che tu scomparissi senza lasciare traccia, smettendo cosi’ di ricordargli continuamente le impietose contraddizioni di questo meraviglioso mondo. Ma tu rimani qualcuno fintanto che rimani una vittima, finche’ rimani calato nel personaggio. Se non ti fai integrare sei il diverso tra i diversi, se accetti di farti integrare (come nel caso delle prime generazioni di immigrati) rimani comunque un diverso che arranca per farsi accettare dai normali. Non c’e’ via d’uscita nel non futuro predestinato. Quando ti accorgi di questo inizi a prendere fuoco, e’ la tua stessa vita a bruciare. Per questo le rivolte nelle banlieues possono essere solo cosi’ splendidamente nichiliste e disperate, con buona pace di chi le preferirebbe piu’ organizzate, piu’ comprensibili e piu’ indirizzabili.

Di questo e molto altro parla il libro. In un racconto preciso e credibile, con una compartecipazione dolorosa e lucida. A firenze lo trovate nella distro del NextEmerson, altrimenti seguite questo link.

L’ossessione della sicurezza

Mentre continuo nella mia lunga ricerca su Francia, banlieues e ansia securitaria, finisce che inevitabilmente intoppo di nuovo in Laurent Bonelli. Presa da un raptus di pigritudine avevo rallentato la lettura del suo libro tradendolo con La rivolta delle periferie ed. Mondadori (ma giuro, solo perche’ questo e’ in italiano!). Ma girando di nota in nota, di rimando in rimando, mi ritrovo di nuovo a leggere le sue cose. e mi sembrano ancora le piu’ lucide, forse perche’ estendibili anche alla situazione che viviamo qui in italia.
 
Ecco un articolo (in italiano) su Le Monde diplomatique , un po’ vecchiotto (del 2001) ma comunque interessante soprattutto nella ultima parte. Vi evito l’introduzione di redazione di Le Monde Diplomatique perche’ mi sembra abbastanza inutile (e cmq lo trovate seguendo il link).
 
Qui invece potete scaricare un intervento alla radio sulla sicurezza (sono pochi mega di .ogg), ma ahime’ in francese ed e’ veramente un peccato perche’ dice cose non banali.
 
L’OSSESSIONE DELLA SICUREZZA

La paura, lucrosa rendita della politica

di LAURENT BONELLI*
 
L’8
gennaio scorso, il Midi Libre rivelava che a Nîmes la Polizia nazionale
e i vari servizi statali di assistenza sociale decentralizzata avevano
creato, insieme al locale Ufficio di collocamento, uno schedario
condiviso in rete, sulla base delle informazioni dei loro archivi
relative a 179 adolescenti «in difficoltà». Le informazioni diffuse,
molto dettagliate, riguardavano sia eventuali precedenti di questi
giovani, sia la classe frequentata, gli aiuti sociali concessi e il
loro comportamento in occasione di interviste individuali… Continue reading →

Comunita’, integrazione, inclusione e altre porcherie

311In questi giorni, tra mobilitazioni contro i cpt, deliri emergenziali e letture interessanti mi sto concentrando molto sul termine di comunita’ e su quello di integrazione. Sto leggendo un libro molto lucido che consiglio a tutti: Lessico del razzismo democratico, di Giusppe Faso, uscito da poco per DeriveApprodi. Ha il pregio di farti riflettere sulle parole senza darti delle soluzioni alternative precotte. E cosi’ stai li’, pensi, rimugini e ti germogliano in testa cose interessanti, che hai scoperto da solo e che non ti ha insegnato nessuno.

E infatti.

Ho sempre pensato al termine comunita’ come a un qualcosa di bello, un gruppo che univa individui legati dalle stesse passioni, da idee affini e intenti comuni. Pensavo alla comunita’ hacker, a quella punk, alle sottoculture.. ma questo tipo di comunita’ sono per definizione aperte e "contaminabili" in qualsiasi momento. Spesso si fondono e straripano continuamente dagli argini.

Invece questo termine viene correntemente usato con ben altri significati, e mi viene da pensare che cio’ che cambia e’ lo scopo con cui viene usata una parola: ci sono comunita’ nate per includere e comunita’ nate per escludere.

comunita’ rumena, comunita’ albanese, comunita’ sengalese…
e’ come se si desse per scontato che gli immigrati nel nostro paese possano far parte unicamente di una comunita’ che riunisca persone nate nello stesso luogo.
i migranti non sono individui, con dei loro interessi, delle loro passioni.
davanti a tutto deve sempre restare il marchio solenne del luogo di nascita, lo stigma dello straniero.
siccome abbiamo paura di mescolare le nostre abitudini con altre diverse, magari per poi scoprire che ci piacciono di piu’, ecco che tracciamo comunita’ i cui confini sono invalicabili. potrei condividere con un rumeno la passione per il calcio, ma non potrei certo diventare rumeno anch’io. ognuno resti nella propria comunita’ e non se ne parli piu’.
al massimo si parla di "integrazione" o, peggio, di "inclusione". lasciando intendere, senza possibilita’ di dubbio, che una persona puo’ venir presa e fatta entrare nella mia "comunita’". un processo a senso unico, dove non si accettano mescolanze e contaminazioni. ho un clan, e se stai buono faccio entrare anche te, del clan diverso.
questa e’ la tesi che nell’Europa contemporanea va per la maggiore nella sinistra bene. questo e’ quello che ha portato avanti per anni la Francia, e che sta scoprendo ora il pd qui da noi (con i soliti 15-20 anni di sonnolento ritardo). Modello anglosassone contro modello francese. L’uno freddamente menefreghista e fintamente tollerante: vestiti e parla un po’ come ti pare, tanto non conti niente comunque. l’altro protezionista e fintamente materno: la mia comunita’ ha un’identita’ che non si tocca, se stai bravo ti si fa entrare e far finta che sia anche la tua, altrimenti fuori, non avessi a contaminarci.

I rivoltosi delle banlieues vengono accusati di "comunitarismo", si sentono parte di una comunita’ che non coincide con quella francese e bruciano per emergere dall’invisibilita’.
Ingrati: noi li accettiamo nel nostro clan, li chiamiamo "figli e figlie della Repubblica"(1), accordiamo loro il permesso di sentirsi francesi, e ci ripagano sbattendoci in faccia la loro estraneita’.
Ma come puo’ un Algerino sentirsi figlio della Repubblica? Sono i figli di chi nel ’61 e’ stato ammazzato nella Senna dalla polizia francese(2), non di Napoleone, di De Gaulle o di Robespierre.
E’ un razzismo estremo, quello di una comunita’ chiusa che si sente generosa, dall’alto della propria superiorita’, nel permetterti di rinunciare alla tua identita’ per aderire alla sua.

( 1) nel 2005 Chirac chiamava cosi’ i giovani delle banlieues: «ils
sont tous les filles et les fils de la République».

( 2 )  http://aquiestoy.noblogs.org/post/2007/10/17/17-ottobre-1961-il-massacro-di-parigi-la-nuit-oubli-e

Nascita del mito dell’insicurezza

banlieueSono finalmente tornata a Parigi. Pochi giorni, poco tempo per fare tutto quello che avrei voluto. Mi e’ bastato solo per riempirmi di immagini e portarmi a casa un libro che sto piano piano divorando. La France a peur – une histoire sociale de l'”insécurité”, di Laurent Bonelli.  Ed. La Découverte, Paris 2008.

Negli ultimi mesi ho passato diverso tempo a studiare lo sviluppo economico e sociale francese dal dopoguerra in poi, per cercare di capire come sono nate le banlieues e perche’. In Italia i pochi studi che ho trovato sul tema si concentrano sempre sull’aspetto urbanistico o su quello antropologico. Dicono un po’ tutti le stesse cose, scopiazzando grossolanamente l’uno o l’altro antropologo francese. Rimanevo sempre con la sensazione che mancasse qualcosa, che il discorso fosse troppo tirato per i capelli e che in fondo i passaggi non tornassero.

Questo libro e’ estremamente chiaro e ha colmato diversi vuoti nell’idea che avevo iniziato a farmi della situazione. Mi si sono accese molte lampadine e ho iniziato a scrivere le prime impressioni che sono riuscita a trarne, essenzialmente storiche, forse interessanti per capire anche una serie di fenomeni che sono avvenuti (o avverranno) anche qui da noi. Il mito della sicurezza (anzi, dell’insicurezza, ribaltando efficacemente la prospettiva) in Francia e’ nato molto prima che in Italia, e sebbene sono convinta che non si possano accostare troppo semplicisticamente due paesi con due tessuti e due storie cosi’ diverse, ci sono cose che mi sono suonate molto familiari.


La Francia esce dalla Seconda guerra mondiale con un territorio
sconvolto e devastato. I Francesi hanno fame e non hanno casa, ai
margini delle città, in quelle che sono ancora le zone rurali, la gente
si ammassa in vere e proprie favelas, con case di fortuna e in
condizioni estremamente precarie.

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parkour

Il parkour. L’arte della fuga. L’arte di superare gli ostacoli in modo semplice e elegante.

Mi posso immaginare come David Belle si sia inventato questo passatempo immerso nel grigiore dei palazzi delle banlieues parigine degli anni ottanta. Un po’ come ci raccontavano i nostri genitori (o i nostri nonni, per chi e’ piu’ giovane). Quando erano piccoli i giocattoli se li dovevano inventare con quello che c’era. Mi ricordo che mia mamma faceva collane di pasta e bambole con i fiammiferi.
Se vivi in carcere impari a camminare sui muri.
Per chi non ha i soldi da regalare a una plastificata palestra, la strada e’ il regno per allenarsi.
I muri che ti separano dalla ville si scalano e si saltano, le impalcature per costruire le enormi case(rme) sono alberi in cui arrampicarsi. Come scimmie, o come gatti, si impara a ridere delle gabbie, si impara a scivolarne fuori con agilita’ e eleganza.
E forse una volta tanto, l’importante non e’ l’atterraggio, ma la caduta.

Un po’ di riferimenti:

http://www.parkour.it/

http://www.leparkour.splinder.com/


http://www.le-parkour.com/ 

Banlieues, droni e altri mostri

Di quello che succede nelle banlieues qui in italia non se ne sa
davvero niente. tutto viene filtrato con un setaccio o con un altro.
Chi vive nelle banlieues diventa, a seconda dei casi, un pericolo
ambulante, un povero da compatire, un soggetto rivoluzionario.

Nell’autunno
del 2000 sono stata per un po’ ospite in una buffa casa a Montreuil,
nella banlieue est di Parigi. Mi sono rapidamente innamorata delle
macerie, delle panetterie affollate, del brulicante e loschissimo
mercato.  Sono tornata a Montreuil qualche anno dopo e non riuscivo a
ritrovare la strada di casa. Le macerie erano diventate palazzi bianchi
e hotel altissimi, neanche le strade si chiamavano piu’ allo stesso
modo.

Tutto il mondo e’ paese, mi e’ venuto da dire, pensando a Torino e a come sgrano gli occhi ogni volta che ci torno.

Quello
che non cambia pero’ e’ la sensazione che hai quando scendi dalla metro
una fermata prima, ti fai il pezzo a piedi e guardi come cambiano i
contorni e le persone mentre ti avvicini alla "frontiera".

Forse
e’ per questo mio sentimentale attaccamento a questi quartieri che da
qualche mese sto vagando per la rete in cerca di articoli e
informazioni un po’ credibili su quello che succede nelle banlieues,
dal 2005 ad oggi. Intanto pubblico la traduzione di un articolo di
liberation abbastanza recente, che da’ un’idea dello stato delle cose.
Un’idea, appunto.

Mi scuso per la traduzione casareccia e
imprecisa. Il mio francese avrebbe bisogno di molta piu’ pratica e i
miei occhi dovrebbero tornare a Montreuil un giorno o l’altro. Chi
vuole puo’ leggersi il testo originale qui.

Se mi suggerite articoli e fonti interessanti io sono contenta!


liberation – 26 ottobre 2007

Le banlieues sotto sorveglianza dei droni

di Noel Mamere, sindaco di Begles e deputato (Verdi) di Gironde.

Mentre il Parlamento si appresta ad approvare l’emendamento ADN su una
legge sull’immigrazione che annuncia la fine dei ricongiungimenti
familiari e lo smantellamento del diritto d’asilo, la notizia secondo
la quale il Ministero degli Interni utilizzera’ dei droni per
sorvegliare le banlieues rinforza il sentimento di guerra civile
crescente. Il progetto nominato Elsa (engin léger pour la surveillance
aérienne) e’ stato presentato la scorsa settimana al Salone Milipol
dedicato alla sicurezza interna. Si presenta come un volatile di un
metro di larghezza e di sessanta centimetri di lunghezza, munito di
telecamera.

Questo drone sara’ in dotazione della polizia nazionale per sorvegliare
a distanza i quartieri popolari e i cortei. Dei droni sono gia’ stati
utilizzati in Israele per delle missioni di controllo, ma anche per
azioni militari. La loro diffusione in Francia sara’ una tappa in piu’
nella stigmatizzazione di una parte della popolazione, in contemporanea
con la riedizione in formato tascabile del classico di Louis Chevalier:
"Classes laborieuses et classes dangereuses" ("classi lavoratrici e
classi pericolose", un classico del periodo coloniale ndt). Di fatto,
si tratta piu’ che altro di creare un clima di diffidenza verso gli
abitanti delle banlieues, piuttosto che non di cercare di ridurre una
violenza reale.

La metafora e’ evidente: le citta’ devono essere circondate da mura
virtuali sotto controllo aereo permanente. La sensazione di vivere in
territori sotto occupazione militare, in una sorta di colonizzazione,
e’ gia’ stata introiettata da molti giovani figli di immigrati dopo le
rivolte del novembre 2005 nel corso delle quali fu instaurato lo stato
di emergenza, applicato per la prima volta dopo la guerra in Algeria.
Questa sensazione rischia di uscire rinforzata dall’esibizione
ostentata di questa "tecnologia del futuro" che fa sembrare 1984 di
George Orwell un racconto della contessa di Segur!

I discorsi a ripetizione sul Karcher*, l’identita’ della Francia, la
colonizzazione positiva, le caratteristiche dell’uomo nero, le retate
dentro le scuole, gli emendamenti riguardo all’ADN e l’esclusione dei
sans-papiers dal ricovero d’urgenza hanno una sola logica che da mesi
non smetto di combattere: trovare dei capri espiatori, stigmatizzare,
mutare la questione sociale in questione razziale.

Questa logica da guerra coloniale conduce a dei drammi, come quello
della morte di Chunlan Zhang Liu, Cinese sans-papiers che si e’ gettata
dalla finestra il 21 settembre per sfuggire a un controllo di polizia.
Prima di cio’, quattro altri stranieri si erano gettati dalla finestra,
in due mesi, testimoniando la paura che si e’ instaurata in migliaia di
famiglie che non osano piu’ uscire, girare, andare a lavorare, studiare
a scuola… I diritti fondamentali sono stati messi in ridicolo.

I droni nelle banlieues non sono che un dispositivo in piu’ in questo
sistema di sorveglianza generalizzata che si sta instaurando giorno per
giorno. Nella sua opera "Sorvegliare e punire", a proposito del
carcere, Michel Foucault descriveva cio’ che chiamava "panoptismo", un
sistema nel quale il secondino, isolato nella propria torre, sorveglia
i propri detenuti senza essere visto. L’effetto maggiore del
panopticum: indurre nell’individuo uno stato cosciente e permanente di
visibilita’ che assicura il funzionamento automatico del potere; fare
in modo che la sorveglianza sia continua nei suoi effetti, anche se e’
discontinua nelle sue azioni; fare in modo che la perfezione del potere
tenda a rendere inutile l’attuazione del suo esercizio. Foucault
prosegue: "Un assoggettamento reale nasce meccanicamente da una
relazione fittizia, da cui ne consegue che non e’ necessario far
ricorso alle maniere forti per costringere il condannato alla buona
condotta, la folla alla calma, l’operaio al lavoro, lo scolaro allo
studio.." Il drone e’ l’applicazione modernizzata del panopticum alla
citta’ intera, e’ un sistema di sorveglianza disciplinare generalizzata
che ha come missione quella di inquadrare, controllare, mettere in riga
gli individui.

La societa’ di sorveglianza dei droni e il potere scientifico
instaurato attraverso il dna stanno trasformando la democrazia e
disegnando la societa’ del futuro. Accetteremo senza resistenze questo
"mondo meraviglioso" o una parte del corpo sociale vivra’ con la paura
addosso, confinata in un apartheid che non si fa neanche chiamare con
il proprio nome? La societa’ si lascera’ prendere in ostaggio da uno
Stato autoritario sovrastato da uno strapotere monarchico che regna su
uno spazio in cui ogni individuo e’ costantemente localizzato,
catalogato, esaminato, registrato a sua insaputa, dove i suoi minimi
movimenti sono sorvegliati da migliaia di telecamere di
videosorveglianza? Questo totalitarismo soft deve essere combattuto per
quello che e’, la negazione dei valori che, dalla Rivoluzione francese
alla Resistenza, passando per il 1848, la Comune o il Maggio del 68,
hanno costruito la sola identita’ nazionale che riconosco e che si
legge nei tre principi scritti sui frontoni del palazzo del comune di
Begles e dei 36 000 comuni della Francia: "«Liberté, Egalité,
Fraternité».

Faccio appello ai sindaci dei distretti dove gli abitanti stanno per
diventare l’oggetto di questa generalizzata caccia al sospettato
perche’ facciano rispettare questi principi dichiarando il proprio
comune "zona al di fuori della sorveglianza aerea".
I droni non passeranno mai nel cielo del mio comune.

note (mie):
[* Karcher – si riferisce a una famosa
dichiarazione di Sarkozy, durante i moti del 2005, in cui l’allora
presidente degli interni utilizzo’ come raffinata metafora
un’idropulitrice (Karcher e’ il nome della marca) con la quale si
sarebbe dovuto ripulire le banlieues dalla "racaille" (la feccia). ]