L’ossessione della sicurezza

Mentre continuo nella mia lunga ricerca su Francia, banlieues e ansia securitaria, finisce che inevitabilmente intoppo di nuovo in Laurent Bonelli. Presa da un raptus di pigritudine avevo rallentato la lettura del suo libro tradendolo con La rivolta delle periferie ed. Mondadori (ma giuro, solo perche’ questo e’ in italiano!). Ma girando di nota in nota, di rimando in rimando, mi ritrovo di nuovo a leggere le sue cose. e mi sembrano ancora le piu’ lucide, forse perche’ estendibili anche alla situazione che viviamo qui in italia.
 
Ecco un articolo (in italiano) su Le Monde diplomatique , un po’ vecchiotto (del 2001) ma comunque interessante soprattutto nella ultima parte. Vi evito l’introduzione di redazione di Le Monde Diplomatique perche’ mi sembra abbastanza inutile (e cmq lo trovate seguendo il link).
 
Qui invece potete scaricare un intervento alla radio sulla sicurezza (sono pochi mega di .ogg), ma ahime’ in francese ed e’ veramente un peccato perche’ dice cose non banali.
 
L’OSSESSIONE DELLA SICUREZZA

La paura, lucrosa rendita della politica

di LAURENT BONELLI*
 
L’8
gennaio scorso, il Midi Libre rivelava che a Nîmes la Polizia nazionale
e i vari servizi statali di assistenza sociale decentralizzata avevano
creato, insieme al locale Ufficio di collocamento, uno schedario
condiviso in rete, sulla base delle informazioni dei loro archivi
relative a 179 adolescenti «in difficoltà». Le informazioni diffuse,
molto dettagliate, riguardavano sia eventuali precedenti di questi
giovani, sia la classe frequentata, gli aiuti sociali concessi e il
loro comportamento in occasione di interviste individuali…Questo schedario, elaborato sulla base di «indagini di polizia (1)» è stato creato su richiesta del prefetto nell’ambito della Commission départementale d’accès à la citoyenneté (Codac) (2),
al fine di «capire concretamente come e perché un certo numero di
minori o adulti siano sfuggiti alle maglie delle istituzioni pubbliche
incaricate di venire loro in aiuto (3)».
Il prefetto spiega che era sua intenzione «promuovere un metodo per
trattare i casi di giovani in difficoltà sociale, economica o
professionale [così da] mettere in piedi un’amministrazione più
efficiente e cercare di trovare delle soluzioni (4)».
Questa lista è all’origine di varie riunioni congiunte tra i suoi vari
promotori, una delle quali è stata dedicata allo studio di un unico
caso particolarmente difficile.
 
Un tale episodio – chiuso grazie
alla levata di scudi dell’opinione pubblica seguita alla sua
rivelazione – , mostra le logiche sottese a tutte le strategie locali
di sicurezza attuate in Francia da una ventina d’anni a questa parte.
Dai consigli comunali di prevenzione della delinquenza (Ccpd) ai
contratti locali di sicurezza (Cls), le strutture e i dispositivi che
ne derivano sono caratterizzati da alcuni elementi comuni. Zone di non
diritto Geograficamente concentrati sui quartieri popolari,
ribattezzati per l’occasione quartieri «sensibili», riguardano solo un
tipo molto preciso di infrazione o di reato, la piccola delinquenza di
strada, ovvero i cosiddetti comportamenti «devianti» dei giovani di
questi quartieri. Del resto, la composizione della lista di Nîmes
rispecchia perfettamente questa suddivisione: gli individui
appartenenti alla lista provengono tutti da quattro particolari
quartieri, definiti in via di sviluppo sociale; l’85% dei cognomi
tradisce un’origine maghrebina e la schiacciante maggioranza di loro è
costituita da giovani tra i 12 e i 32 anni, per un terzo minorenni…
Questa focalizzazione trasmette una idea precisa di «pericolosità
sociale», che rievoca l’equazione ideologica classi popolari = classi
pericolose in voga alla fine del XIX secolo. La riattivazione di questi
modelli deriva da pseudo-scienze criminologiche, psico-sociologiche e/o
poliziesche, in cui gli spazi di emarginazione diventano «zone di non
diritto» che rimetterebbero in discussione il modello politico
dominante e il suo sistema di valori, per dar vita ad enclave di tipo
comunitario o mafioso. Gli adolescenti che abitano in queste zone
avrebbero quindi fatto la «scelta» più facile, razionale e durevole di
un sistema di valori «criminali» contro quello dei valori
«convenzionali», imperniato sul lavoro. Mescolando fatti tanto
eterogenei come il furto d’auto, il danneggiamento di una cassetta
delle lettere, lo spaccio di droga e la maleducazione, questi discorsi
allarmisti ignorano consapevolmente le cause sociali dei fenomeni.
Resuscitano un’ideologia morale e etnocentrica basata sul fallimento
delle famiglie popolari e la loro presunta incapacità di fornire un
quadro educativo di riferimento ai loro figli. Come ricordava Martine
Aubry, ex ministra francese del lavoro e della solidarietà sociale,
«questi giovani hanno scarsi rapporti affettivi. Spesso non sono in
grado di dirci che tipo di legami hanno con gli adulti con cui vivono.
Quei padri, madri, patrigni, matrigne che chiamano per nome possono
essere davvero considerati i loro genitori? (5)». La severità sarebbe dunque giustificata da una sensazione di irreversibilità della delinquenza.
Nuove strutture repressive Un’irreversibilità presa di mira da
innumerevoli strutture specialistiche, di cui ormai questi quartieri
rigurgitano. La polizia si è infatti dotata di diverse unità
d’intervento: brigate anti-crimine (Bac), unità mobili speciali (Ums),
compagnie dipartimentali di intervento (Cdi), apposite forze di
mantenimento dell’ordine (unità mobili di polizia); unità giudiziarie:
brigate di ricerca, di indagine e di coordinamento (Brec); o servizi di
informazione, con la particolare sezione «violenze urbane» dei servizi
segreti. Anche la riforma della polizia di quartiere è rivolta
principalmente a queste zone.
Stesso discorso per il ministero di grazia e giustizia, che ha
sviluppato analoghe strutture specifiche: gruppi locali di trattamento
della delinquenza (Gltd), corrispondenti del procuratore o da esso
delegati, nonché varie procedure particolari: trattamento in tempo
reale della delinquenza (Ttr), processi immediati, ecc. Infine, anche
altre istituzioni hanno creato propri strumenti specifici, come il
ministero della pubblica istruzione con la segnalazione delle «zone
violente» o i protocolli standardizzati di segnalazione alle procure.
L’inflazione di tali strutture nei quartieri e la scelta di reprimere
prioritariamente la piccola delinquenza hanno tre importanti
conseguenze.
Anzitutto, assistiamo ad un irrigidimento e ad un’estensione del
settore penale. Le pene per questo tipo di reati sono state
pesantemente rafforzate. La severità dei processi per direttissima è a
questo proposito emblematica. E il Ttr ha, tra l’altro, trasformato
radicalmente l’esercizio della giustizia nei confronti dei minori,
sempre più gestito dal penale invece che dal civile. Allo stesso modo,
alcuni comportamenti che non dipendevano direttamente dalla giustizia
sono oggi affidati alla mediazione penale, attraverso il patteggiamento.
Infine, si assiste all’irruzione degli interrogatori polizieschi e giudiziari in nuovi ambiti.
Queste logiche finiscono per costituire una cartina di tornasole
attraverso la quale, in alcuni quartieri, viene percepito e trattato un
certo numero di «problemi». La questione sociale è abbandonata.
La prevenzione strutturale scompare e si afferma la prevenzione della
delinquenza. Le preoccupazioni socio-culturali o di salute pubblica
sono prese in considerazione solo nella misura in cui concorrono al
mantenimento di una certa forma di pace sociale. La violenza domestica
non è di per sé un problema; lo diventa perché rischia di produrre
criminalità minorile. Ancora di più assistiamo – come a Nîmes – ad un
arruolamento di tipo poliziesco dei servizi sociali, in nome di una
domanda sociale a cui la polizia non riuscirebbe a dare da sola
risposta. L’equazione «giovani in difficoltà sociali, economiche o
professionali» = «controllo poliziesco» è sempre più in voga…
In un certo qual modo, i quartieri «in pericolo» sono diventati
«quartieri pericolosi». E siccome la Francia non ha voluto – come hanno
fatto invece gli Stati uniti – incrementare sensibilmente il numero
degli agenti del suo apparato repressivo (poliziotti, magistrati e
personale delle carceri), un approccio di questo tipo implica che
intere fasce di delinquenza vengano trascurate, per volgersi alla lotta
contro le forme più «appariscenti» e meno dannose per lo spazio
pubblico.
Così, lo stesso ministero della Giustizia francese riconosce che il
trattamento in tempo reale – che costituisce più del 90% dell’attività
di alcuni tribunali – «da una parte privilegia e
dall’altra"sovra-stima" […] l’attenzione alla piccola e media
criminalità, a scapito della criminalità economica e finanziaria o dei
reati legati a contenziosi di tipo tecnico». (6)
Definito «cronofago» dal ministero, un tale trattamento esaurisce il
lavoro dei magistrati, che trascurano i casi più complessi. Allo stesso
modo, il numero di inquirenti assegnati ai poli economici e finanziari
è ridicolmente basso in un paese come la Francia, che ha un rapporto
forze dell’ordine/popolazione tra i più elevati d’Europa.
Le scarse
azioni giudiziarie nei confronti di violazioni della legislazione del
lavoro, di reati commerciali o ambientali sono in aperto contrasto con
l’ampiezza di queste infrazioni.
Ma l’accento messo sulla repressione della piccola criminalità non è
giustificato. La minaccia non è reale. Ogni priorità deriva da
inquadramenti più o meno arbitrari degli episodi di devianza, compiuti
da agenti interessati a tale selezione in virtù della loro posizione e
della loro autorità. Così, la tesi secondo cui un’evoluzione di questo
tipo sarebbe dovuta all’«escalation» della violenza e della criminalità
minorile tra i giovani dei quartieri popolari, viene confutata dalle
analisi degli esperti statistici (7).
Questi fenomeni esistevano anche un quarto di secolo fa, ma non
costituivano un «problema della società». Venivano piuttosto
considerati come forme di patologia sociale e/o morale. Sotto il tema
generico di «insicurezza», hanno assunto un’importanza centrale
all’inizio degli anni 70, quando per la prima volta viene fatta la
distinzione, nel cosiddetto rapporto Peyrefitte (8), tra crimine e paura del crimine.
Questa rottura è fondamentale, perché è all’origine della gestione
politica della paura e di tutti quei temi fino ad allora delegati ai
professionisti della sicurezza. L’invenzione del «sentimento di
insicurezza», diffuso poi nell’opinione pubblica, ha portato i partiti
e i rappresentanti eletti a dedicarsi a questi problemi. Per tutti gli
anni 80 e 90, si sono moltiplicate le prese di posizione, con uomini
politici che si specializzano e costruiscono la propria carriera sul
tema dell’insicurezza. Attraverso la loro specializzazione e la
rivendicazione di una sorta di competenza particolare in materia,
contribuiranno a spoliticizzare a poco a poco un dibattito che, negli
anni 70, opponeva ancora una destra garante della «sicurezza» ad una
sinistra paladina della «libertà».
«Ordine pubblico» e pacificazione Trovandosi d’accordo sulla natura del
problema, sulla diagnosi e sulle soluzioni da apportare, i politici
tendono quindi ad annullare le passate divergenze e a produrre un
consenso – a cui i media daranno ampiamente eco – sulle priorità da
dare alla lotta contro forme di criminalità nei confronti delle quali è
possibile intervenire: «Quante volte mi sono sentito dire dai miei
concittadini: signor sindaco, per il lavoro ce la possiamo cavare da
soli. Ma per la sicurezza, non possiamo far nulla. Abbiamo bisogno del
suo aiuto (9)»…
Il che spiega la profusione di dibattiti, all’interno delle
associazioni di rappresentanti politici locali (come l’associazione dei
sindaci di Ile de France-Amif), che mirano a delegare ai comuni le
missioni di ordine pubblico della polizia di stato. Nel febbraio 2000,
Gérard Hamel, sindaco di Dreux e deputato dell’Assemblea nazionale,
durante gli Incontri nazionali sulla sicurezza locale tenutisi a
Chalon-sur-Saône dichiarava: «Bisogna mettere la polizia di quartiere
sotto l’autorità diretta del sindaco, in modo che essa si occupi della
criminalità di strada, delle violenze e del sentimento di insicurezza.
Ovviamente, il mantenimento dell’ordine e la polizia giudiziaria
rimarranno di competenza dello Stato».
È in parte alla luce della
sua redditività politica che si può capire il successo riportato dalla
repressione di un certo tipo di criminalità e di comportamenti «che
disturbano». Questo tipo di volontà politica, che porta a reazioni
disuguali a seconda del tipo di infrazione e del profilo sociale del
suo autore, confonde «l’ordine pubblico» con la pacificazione dei
quartieri popolari. Resta da vedere se, a lungo termine, questa scelta
costituirà lo strumento migliore per garantire la «sicurezza» dello
stato e della società, per favorire la coesione tra i suoi cittadini e
rafforzare la legittimità delle sue istituzioni democratiche.
 
note:

* Ricercatore all’Università Paris X Nanterre
(1)
Riguarda persone di cui «diversi indizi gravi e concordi fanno pensare
che potrebbero essere autori, co-autori o complici di presunti reati o
infrazioni».
(2)
Sono state create dal ministro dell’interno il 18 gennaio 1999 per
«identificare episodi di discriminazione nell’ambito del lavoro, degli
alloggi, dell’accesso ai servizi pubblici e agli svaghi e per formulare
proposte atte a favorire l’integrazione di giovani figli di immigrati».
(3) Dominique Vinciguerra, direttore di gabinetto del prefetto del Gard, Midi libre, 8 gennaio 2000.
(4) Michel Gaudin, prefetto di Gard, Midi libre, 11 gennaio 2000.
(5) Intervento di Martine Aubry, ministra del lavoro e della solidarietà sociale, convegno di Villepinte, 24 ottobre 1997.
(6)
Rapport au garde des sceaux sur la politique pénale menée en 1999
(«Rapporto al Guardasigilli sulla politica penale condotta nel 1999),
Direction des Affaires Criminelles et des Gr‰ces, aprile 2000, p. 27.
(7)
Si veda ad esempio Aubusson de Carvalay, «Statistiques» in Lazerges C.
e Balduyck J. P., Réponses à la délinquance des mineurs. Mission
interministérielle sur la prévention et le traitement de la délinquance
des mineurs, La Documentation française, Parigi, 1998, pp. 263-291.
(8) Comitato di studio sulla violenza, la criminalità e la delinquenza, Réponses à la violence, Presses Pocket, Parigi, 1977.
(9) Jean-François Copé, sindaco di Meaux, Maires en Ile-de-France, n. 33, febbraio 2000, p. 18.
(Traduzione di S.L.)