Freakangels

freak angelsFinalmente sono usciti i primi due volumi dell’edizione italiana di Freakangels.

Si tratta della versione cartacea del fumetto di Warren Ellis e Paul Duffield, che viene periodicamente pubblicato online qui.

Me li sono procacciati e mi sono divorata questi due lussuosi volumi (una carta lucida sbrilluccicante, dei colori abbaglianti e delle bellissime grafiche in stile). Non amo troppo i disegni di Paul Duffield, o meglio, rimango affascinata dai suoi paesaggi apocalittici e dalle sue macchine infernalmente steampunk, ma rimango spesso delusa dai personaggi goffi e incoerenti. I colori pero’, gia’ solo per quelli vale la pena, e le luci anche e il piacere di vedere scorrere fra le mie dita personaggi di varie sottoculture cosi’ poco spesso rappresentate su carta.

Poi c’e’ la storia. Una Londra affogata da una devastante apocalisse, una comunita’ che sopravvive, si riprende il quartiere di White Chapel e ne fa il proprio territorio: il quartier generale dei Freakangels. E le storie che ne seguono, mischiate a un po’ di fantasy e molto steampunk, sono storie di autogestione quotidiana. Di un futuro da ricostruire insieme pezzo per pezzo, con le mani impastate di morchia e un sacco di errori e tentativi sbagliati nel cuore.

I Freakangels “badano” alla propria comunita’ espiando la colpa di aver aiutato a far esplodere il mondo che conoscevamo. Si aggirano in un mondo che non conosciamo, ma che possiamo immaginarci, capovolgono la linea del tempo e la riscrivono. Costruiscono macchine a vapore, pannelli solari, giardini urbani estremi, si dividono i compiti e si rimboccano le maniche. Ragionano e ri-ragionano sulle responsabilita’ che stanno nelle mani di chi ha deciso di prendersi cura del proprio quotidiano e di quello della propria comunita’.

C’e’ un sacco di punk in questo steampunk. Ci sono botte e languidi tramonti, ci sono tanti dubbi e il coraggio di volerli affrontare. C’e’ l’impossibile reso reale, la necessita’ divenuta virtu’ e il futuro diventato adesso.

Mi piace un sacco, insomma, come non potrebbe?

Licheni 3

(senza illustrazioni.. e’ troppo presto!)

Licheni
parte terza

La signora Apricot appoggiò la tazza di tè sul piattino facendo attenzione a non produrre un rumore troppo secco.
-Del resto Signora Cerise, gli anni in cui ci troviamo sono anni terribilmente instabili.
-…instabili e pericolosi, mi faccia aggiungere.
La signora Cerise diede un fugace sguardo di cupidigia all’ultimo pasticcino rimasto sul vassoio ovale.
-Si dice che il Generale Saprofit stia progettando un contrattacco di straordinaria potenza.
-Pensa che useranno dei nuovi tipi di macchine? Un nuovo modello di uomo meccanico magari?
La signora Apricot si massaggiò la trina che le fasciava il collo.
-Non credo cara, gli uomini meccanici sono ormai obsoleti. Mio marito dice sempre che certi congegni possono andare bene solo per gli scopi civili. Come la sua Zamedite.
-Beh dobbiamo riconoscere che questi uomini meccanici sono stati un regalo di Dio. In questo periodo di infauste ristrettezze molte oneste famiglie sarebbero state costrette a privarsi dei servigi di domestici affidabili.
-Mio marito dice che nel campo bellico stanno avvenendo molti progressi tecnologici. Dicono che da quando l’industria cosmetica ha venduto la ricetta all’Esercito le nostre possibilità di vincere questa guerra sono diventate una certezza.
-Anche senza uomini meccanici?
-Ma cara, molto meglio!
La signora Cerise si lasciò sfuggire un risolino.
-Non si dimentichi che gli uomini meccanici restano pur sempre uomini, anche se con qualche optional in più.

Zam entrò silenziosamente nella stanza portando un nuovo vassoio carico di pasticcini.
-Zamedite, cara, puoi portarci anche qualcuno di quegli zuccherini all’anice che piacciono tanto alla nostra signora Cerise?
-Oh, cara, lei mi vizia..!
-Mi dispiace Signora, sfortunatamente gli zuccherini sono finiti e anche il Signor Fleen giù all’angolo li ha terminati.
-Oh santa pazienza, quel Fleen è buono solo a lamentarsi. Vai al porto cara, fammi questo favore. Sono sicura che la drogheria della signora Bienvenue non ci deluderà.

Zam si produsse in un impercettibile inchino e si dileguò.
-Davvero una cara ragazza la sua Zamedite.
-Ha proprio ragione. Questi uomini meccanici sono così puliti e piacevoli, non riesco proprio a capire perchè vengano così tanto bistrattati in certi ambienti popolari.
-Il garzone del meccanico qua sotto, lui sì è spaventevole. Quello strano mutante con gli occhi viola, mi mette i brividi ogni volta che passo davanti all’officina.
-Ma sa, quelli sono sbagli della natura. Errori a cui abbiamo cercato di dare una seconda possibilità. Nulla a che vedere con gli uomini meccanici, frutto di sapienti tecniche. Gli uomini meccanici uniscono l’intelligenza dell’uomo alla perfezione della macchina.
-E’ quello che dice sempre anche mio marito, signora Apricot. Ma non riesco a resistere a questi splendidi pasticcini. Me ne faccia assaggiare un altro.

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Licheni 2

Licheni
Parte seconda

Il cervo li osservava con una perfetta aria bovina. Gli occhi liquidi, la bocca piegata in un prevedibile sorriso placido.
Quando si alzò, lo sforzo gli piegò gli angoli della bocca e le sue lunghe zampe compirono molti sgraziati movimenti nel tentativo di ritrovare una posizione normale.
Zam continuava a fissare quel cervo scoordinato riconoscendoci un qualcosa di familiare, un’inadeguatezza consueta.

Dei rumori metallici schioccarono le dita dentro al cervello di Zam: Typtri era già lontano, perso di nuovo a rovistare nelle macerie che ornavano il bosco. Zam lo raggiunse, cercando di schivare la strana sensazione che il cervo li stesse seguendo. Ma in effetti li stava proprio seguendo, lento e inesorabile come una mucca che mastica trifogli.

– Quella deve essere la fabbrica.
Typtri si era fermato davanti a un cancello divorato dalla ruggine. Dietro al cancello c’era una di quelle grandi sbarre a righe rosse e bianche. Era sollevata a farti passare, e probabilmente era così da un bel po’ di tempo. Sulla sbarra e sull’asfalto correva l’edera per cercare disperata un po’ di terra. Correva anche su un ibisco, un grande ibisco viola fiorito a guardia del cancello.
Alle spalle della sbarra e del cancello c’era la fabbrica. Tre grossi capannoni giallo sbiadito, con i tetti a spina di pesce lanciati verso ovest.
Mentre entravano Zam inciampò in una lattina arrugginita di birra e il silenzio accogliente di quel posto le accarezzò la faccia. Continue reading →

Licheni

Buffamente mi sono resa conto solo ora di non aver mai messo su questo blog i miei racconti pubblicati via via su Ruggine. Rimedio adesso, cominciando da Licheni, un racconto lungo diviso in tre puntate (che per comodita’ spezzo anche qui in tre post). La terza e ultima parte verrà pubblicata sul quarto numero di Ruggine, ma la metto subito anche qui “in anteprima”.

Le illustrazioni le ha fatte Stefano Artibani, che ringrazio ancora per essere riuscito a immaginare cosi’ bene le mie parole.

Licheni

parte prima

licheni 1

Mentre camminava la punta delle scarpe si confrontava con un pietrisco di mattoni
e oggetti metallici spenti.
C’era un’aria fredda e tagliente, si riaggiustò il bavero del cappotto.
Solo dieci minuti prima la pioggia cadeva spietata, adesso il cielo sembrava pacificato e l’aria ripulita, uno sfogo come di pianto.
Annusava l’aria, le macerie tutt’intorno sapevano di bosco. I mattoni rotti, i blocchi di cemento sbeccati, quelle piccole isole di asfalto che ancora ogni tanto spuntavano da sotto l’erba.
Arrivò alla Porta-con-la-bocca. Veniva chiamata così perché delle due ali del portone di ferro era rimasto solo un paio di grosse schegge in alto che formavano gli zigomi di un faccione con la bocca aperta.
Era una bellissima porta, una delle sue preferite, una delle tante rimaste a custodire palazzi immaginari e fabbriche invisibili. Come tutte le altre, la Porta-con-la-bocca non serviva assolutamente a niente, era solo il ricordo di ciò che una volta custodiva. E come per tutte le altre, non ti saresti mai sognato di non usarla, di prenderti gioco di lei magari passando di lato.

Seduto sulla balaustra di una finestra orfana c’era Typtri. Continue reading →

La polveriera di Nobel

Per un caso del destino una sera a cena mi parlano di un’enorme area abbandonata, poco lontano da Firenze (tra Signa e Carmignano). Mi fanno vedere delle foto davanti alle quali mi cade in terra la mascella e rimango come un’idiota per un venti minuti buoni. Questo posto e’ Laputa, e’ un post apocalisse anticipato, e’ il luogo dove inconsapevolmente ho ambientato il mio racconto rugginoso Licheni e dove evidentemente alloggiano i miei pensieri e il mio tatuaggio mancato.

http://foto.masternet.it/main.php?g2_itemId=10058

Capirete che mi sono subito lanciata in una frenetica ricerca sui come, i dove, i che cosa..
Ho trovato qualche risposta che mi ha aperto ulteriori voragini nel cervello, da cui credo nei prossimi mesi usciranno personaggi e racconti che aspettavano di essere risvegliati.

Il posto intanto ha un nome: Il pallottolificio dinamitificio Nobel. Una fabbrica di esplosivi costruita nel 1891 dalla ditta Sipe Nobel (quell’Alfred Nobel li’.. si).
Questa fabbrica ha delle dimensioni imponenti, parliamo di un’area che insieme al parco e la vicina stazione di Carmignano si aggira intorno ai 90 ettari.
La stazione di Carmignano e’ chiusa da una decina d’anni, in balia delle diatribe tra Trenitalia e Comune su un’improbabile “riqualificazione”. La polveriera invece ha fermato la produzione l’11 giugno del 1944 e da allora non ha mai piu’ riaperto. E c’e’ un motivo.

A quel tempo la polveriera era una delle piu’ importanti d’Italia, con tremila dipendenti, costituiva un nodo centrale per il rifornimento di esplosivo e munizioni all’esercito nazifascista. Dalla vicina stazione partivano i convogli che (data la posizione centrale) immagino andassero a rifornire un po’ tutte le truppe sparse per l’Italia.

All’1.10 della notte dell’11 giugno 1944 la polveriera salta in aria, per l’esplosione di 8 convogli pieni di tritolo fermi alla stazione.
Questo l’unico racconto decentemente dettagliato che sono riuscita a trovare finora:
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Di steampunk vicini e lontani

E’ buffo conoscere qualcuno che abita dall’altra parte del mondo e accorgerti che le conclusioni a cui siete arrivati dopo tanti affanni e pensieri sono le stesse. Beh non proprio conclusioni, niente di definitivo. Pero’ occhi, cuore e nervi cigolano allo stesso modo ecco.
Ho conosciuto Margaret Killjoy in quel piccolo tour italiano che ha fatto all’inizio di questa estate. Il mio non inglese mi ha subito sigillato la bocca perche’ troppe cose avrei voluto chiedergli, di troppe avrei voluto parlare e il mio vocabolario inglese non aveva verbi, non aveva aggettivi.
La frustrazione di una conversazione inutile mi sembrava peggio della frustrazione di una non conversazione.
Beh, grazie a Reginazabo spesso le mie parole si sono trasformate in un inglese comprensibile, adesso pero’, con la calma portata dall’incedere dell’estate, metto due italiche parole in fila per dare voce a quelle che sono state finora impressioni pressoche’ mute. Continue reading →