Costruire in mezzo alle macerie

Viviamo strani giorni, tutto sembra l’inizio di qualcosa e niente lo e’ veramente, Nessuno ha il coraggio di edificare la prima pietra e tutto sembra cristallizzato a fiato sospeso in attesa che qualcun’altro ci svegli per farci vedere il nuovo meraviglioso mondo del futuro gia’ bell’e pronto per noi.

Del resto la mia generazione convive da sempre con la sensazione di essere troppo giovani per e troppo vecchi per. Dopo di, ma anche prima di. Un’epoca di transizione, l’uscita da un tunnel che sappiamo benissimo com’e’ fatto, ma non abbiamo tanto capito in cosa si trasformera’.

Qualche tempo fa ascoltavo una platea di anarchici, dall’eta’ media invero piuttosto alta, discutere di decrescita e declino del capitalismo. Osservavo alcuni di loro spaesati giurare che il capitalismo non puo’ morire, non e’ possibile. E quasi sembravano rassicurarsi mentre lo dicevano. Dio ce ne scampi e liberi, ci toccasse inventarsi davvero qualcosa che funziona, e provarlo addirittura. Ma ce n’erano altri che illuminavano la stanza con le loro semplici possibilita’. Mi hanno rincuorato.

Sara’ che sto invecchiando, ma inizio a misurare l’intelligenza umana con il metro della capacita’ di analizzare un problema e risolverlo. No, forse e’ colpa dell’informatica. Fatto sta che se mi guardo intorno i giorni che viviamo non mi sembrano cosi’ difficili da decifrare. Quando ti sei letto la definizione di swap su wikipedia, hai guardato qualche vecchio video di Avanzi con la signorina Vaccaroni che ti spiega il baratro e la pizza di fango del Camerun, hai letto 2-3 articoli di economisti appena un po’ fuori dai palazzi, non hai bisogno di molto altro per capire che sta succedendo. Il grosso sta invece nella soluzione che elabori per risolvere quel dato problema. Qui ci vuole intelligenza, fantasia e un sacco di coraggio. Non e’ detto poi che riuscirai a portare a termine neanche una piccola parte dell’ottimo piano che avevi elaborato, ma almeno forse ti sentirai meno stupido nel vivere questi giorni di transizione.

Problema:
Il sistema economico/politico mondiale e’ al collasso. Il capitalismo come se l’era inventato Smith e’ morto e sepolto, la finanza ha ridisegnato un ordine caotico fondato sull’irrazionale (crescere all’infinito non e’ razionale, comprare prodotti derivati non e’ razionale, riempire il mercato di swap non e’ razionale..) che dopo qualche anno inizia a decomporsi e trascinare tutto con se’. Il passaggio al neoliberismo puro si e’ compiuto: lo stato non ha piu’ alcuna funzione se non quella di cavare sangue per fare trasfusioni alle banche e organizzarsi militarmente e strategicamente perche’ i donatori di sangue restino fermi sul lettino.
Come possono le persone buone (quelle cattive che muoiano sotto le banche crollate) sopravvivere e magari approfittare di questo casino per ripensare un organizzazione della vita collettiva meno autodistruttiva e meno devastante?

Soluzioni:
A) Indignarsi.
Va bene, non e’ una vera soluzione. In effetti e’ solo un manifestarsi di un sintomo di insoddisfazione. La soluzione suggerita in fin dei conti e’ che ci pensi qualcun’altro a mettere a posto le cose, magari gli stessi che il problema l’hanno creato. Perche’ chi rompe paga, i cocci sono suoi e insomma fate come vi pare, ma noi la crisi non la paghiamo.

B) Lo Stato.
Sottile e strisciante, questa soluzione a me pare di vederla suggerita praticamente ovunque. Rivogliamo uno stato forte e sano, che ci dia la pensione, il posto di lavoro fisso, il reddito (?!), le fabbriche, l’acqua e l’aria. Vogliamo tornare ai bei tempi dei contratti collettivi, dell’operaismo, delle riforme del lavoro, ma quelle giuste, vogliamo una mamma che si prenda cura di noi e lo faccia bene.

C) Le macerie.
Ci siamo fatti un’idea di come gira il mondo e un’idea di come continuerà a girare se non lo fermiamo. L’unica via e’ l’estinzione del genere umano, un grosso rogo che elimini tutti i problemi, distruggiamo tutto e poi i sopravvissuti si siederanno sulle rovine e proveranno a tirare le somme. Certo, si spera che i sopravvissuti non siano i nipoti di agnelli e monti, altrimenti siam punto e a capo. In ogni caso prima si elimina la radice del male, poi si ragiona sul cosa ci piacerebbe fare.
Affascinante come ipotesi, devo confessarlo, temo che pero’ al massimo ci sarebbe concesso di attuare la prima parte del piano e che la seconda parte fallirebbe per mancanza di materiale umano decente o perche’ seduto sopra alle rovine non ti ricorderai piu’ che cosa volevi fare.

D) La costruzione in mezzo alle macerie
Mentre il mondo cade a pezzi, proviamo ad andare avanti a capo chino intenti a costruire degli spazi vivibili, spazi esterni e inner spaces, come direbbe Ballard.
Questo modello di societa’ votato al collasso, atomizzante e avvilente, pone alcune delle sue fondamenta piu’ solide sulla demolizione della dignità degli individui e sul sistematico avvelenamento della collettivita’. Persone sole, diffidenti, competitive e fratricide non possono che dar vita a un modello sociale devastante.
Curiamo prima di tutto questo inconscio collettivo, diamo alle persone strumenti per riprendere in mano la propria quotidianita’, uccidiamo alla base il concetto di autorita’ e quello di delega e insieme ricostruiamo una collettivita’ condivisa. Una parola efficace come tutti i concetti semplici: l’autogestione.

In tutti questi anni c’e’ una parte di societa’ che e’ riuscita a sopravvivere in questo mondo infame grazie all’autogestione. Non parlo solo di questioni materiali, ma anche di sopravvivenza psicologica. Gli orti collettivi, i gruppi d’acquisto, quelli di autocostruzione, i luoghi autogestiti, le palestre popolari, le case occupate, le autoproduzioni di ogni sorta. Tutto cio’ ha permesso a molte persone non solo di mangiare, tirare avanti e campare dignitosamente, ma anche di non impazzire. Questo mondo al collasso crea mostri, porta a una disperazione molto poco romantica, porta al suicidio e alla violenza esasperata. Io non sono molto attratta dall’idea di starmene ferma ad osservare il baratro, perche’ ho idea che quel baratro sara’ proprio brutto da vedere e il poter dire “ve l’avevo detto che finiva cosi'” non mi consolerebbe molto. Allora posso passare un sacco di tempo a lottare contro la privatizzazione dei trasporti pubblici e lo faccio seriamente e di cuore, ma quando poi la privatizzazione me la fanno lo stesso magari metto in piedi un sistema di trasporto di quartiere autogestito. Per dire.
Posso passare mesi a chiedere che una fabbrica non chiuda, quando poi la produzione viene spostata in romania e gli operai licenziati, magari occupo la ex-fabbrica e ci faccio un centro di smistamento e riciclaggio dei rifiuti, con officina del riuso e del recupero. Per dire.

Tutto troppo semplice probabilmente, ma d’altra parte occhio che la complessita’ viene usata da anni per confinarci nell’immobilita’. Mai come prima, questi sono gli anni del fare e dell’inventare. Sara’ sempre piu’ dignitoso che supplicare.

2 comments ↓

#1 v.m. on 12.21.11 at 1:58 pm

e…. l’opzione rivoluzionaria? Non la prendi per nulla in considerazione? Dovremo continuare a cercare di autogestirci e autoprodurci in mezzo alle macerie o non possiamo pretendere un poco di più dalla nostra vita?

#2 pinke on 12.23.11 at 11:54 am

se per opzione rivoluzionaria intendi quella che poi finisce con la dittatura del proletariato, no, non la prendo in considerazione. al massimo la metto nella lista dei disastri possibili. 😉
tranne che per gli indignati, in un certo senso “l’opzione rivoluzionaria” sta alla base di tutte le vie di cui parlavo. nell’ordinamento neoliberista in cui viviamo ora anche pensare di ricostruire uno stato sociale e’ un ribaltamento utopico.
le macerie ormai ci sono, non credo sia realistico pensare di arrivare con uno scopino rivoluzionario per toglierle di mezzo, se riuscissimo almeno a ripartire da questo mondo disastrato e autogestirci il quotidiano in modo collettivo e organizzato la mia vita ti assicuro che sarebbe bellissima. proprio non potrei chiedere di meglio. pensa che a me l’ultima opzione sembrava piu’ rivoluzionaria di mille rivolte per il pane..