In ‘sti giorni a vivere in europa ti sembra di essere in un libro di Moorcock. Uno di quei caotici pastiche cyberpunk in cui tutto sta per finire e tutto in qualche modo continua ad andare avanti. Ho ritrovato una vecchia bozza di un post mai finito, ma le parole di chiusura in questo agosto non mi sembrerebbero comunque appropriate. Lasciamolo cosi’ dunque, non finito.
Spesso mi sento a disagio a parlare di apocalisse o no future, perche’ temo di essere presa per una sorta di maniaca suicida, che sogna di saltellare allegra tra le ceneri di qualche macabro genocidio. L’apocalisse che intendo e’ una comoda metafora per parlare della fine del mondo come l’abbiamo conosciuto finora. Quel mondo scritto e vergato col sangue, fatto di pianto e lamento, di lavoro stipendio casa e di nuovo lavoro. Di ansia, di giorni spezzati, di ritmi decisi da altri, di corse folli verso merci improbabili. In cambio di tutta questa nevrosi avevamo in pugno le magnifiche sorti e progressive di un’umanita’ destinata a divenire ricca, immortale e invincibile. Nel piccolo, in cambio di una vita sedata ci veniva offerto un mondo ordinato.
Ma adesso, questo mondo e’ gia’ adesso sull’orlo di una crisi di nervi, le nostre vite assistono impotenti a decine di apocalissi quotidiane. Continui traumi con cui dobbiamo via via imparare a convivere. Parlate con un operaio di Mirafiori oggi, ditemi se le sue angoscie non ricordano quelle di un terremotato che si e’ visto crollare addosso tutto il suo mondo. E la rassegnata disperazione di uno stagista precario? Quanto e’ diversa la sua assenza di domani da quella di un alluvionato di New Orleans?
Non resta che affondare le mani in questa nostra quotidiana apocalisse, riprendendo il controllo del nostro ferito inconscio collettivo e finalmente ricominciare da capo.
E si’ che qualche idea ce l’avrei. Cominciare innanzitutto a ripensare i rapporti tra esseri viventi, ripensare al concetto di autorita’ e a quello di potere, mettersi nella condizione di non dominare su niente e nessuno. Ripensare alla storia umana, rileggerla e metabolizzarla per superarla, per andare oltre portandosela dietro serenamente.
Poi ripensare al grande, enorme concetto di responsabilita’. Farsi carico della propria vita, di quella degli altri escludendo per forza di cose le pigre deleghe che hanno dominato duemila anni di storia umana..
Un’apocalisse faticosa insomma, ma piu’ dignitosa del doloroso modo di vivere a cui eravamo abituati.