(senza illustrazioni.. e’ troppo presto!)
Licheni
parte terza
La signora Apricot appoggiò la tazza di tè sul piattino facendo attenzione a non produrre un rumore troppo secco.
-Del resto Signora Cerise, gli anni in cui ci troviamo sono anni terribilmente instabili.
-…instabili e pericolosi, mi faccia aggiungere.
La signora Cerise diede un fugace sguardo di cupidigia all’ultimo pasticcino rimasto sul vassoio ovale.
-Si dice che il Generale Saprofit stia progettando un contrattacco di straordinaria potenza.
-Pensa che useranno dei nuovi tipi di macchine? Un nuovo modello di uomo meccanico magari?
La signora Apricot si massaggiò la trina che le fasciava il collo.
-Non credo cara, gli uomini meccanici sono ormai obsoleti. Mio marito  dice sempre che certi congegni possono andare bene solo per gli scopi  civili. Come la sua Zamedite.
-Beh dobbiamo riconoscere che questi uomini meccanici sono stati un  regalo di Dio. In questo periodo di infauste ristrettezze molte oneste  famiglie sarebbero state costrette a privarsi dei servigi di domestici  affidabili.
-Mio marito dice che nel campo bellico stanno avvenendo molti progressi  tecnologici. Dicono che da quando l’industria cosmetica ha venduto la  ricetta all’Esercito le nostre possibilità di vincere questa guerra sono  diventate una certezza.
-Anche senza uomini meccanici?
-Ma cara, molto meglio!
La signora Cerise si lasciò sfuggire un risolino.
-Non si dimentichi che gli uomini meccanici restano pur sempre uomini, anche se con qualche optional in più.
Zam entrò silenziosamente nella stanza portando un nuovo vassoio carico di pasticcini.
-Zamedite, cara, puoi portarci anche qualcuno di quegli zuccherini all’anice che piacciono tanto alla nostra signora Cerise?
-Oh, cara, lei mi vizia..!
-Mi dispiace Signora, sfortunatamente gli zuccherini sono finiti e anche il Signor Fleen giù all’angolo li ha terminati.
-Oh santa pazienza, quel Fleen è buono solo a lamentarsi. Vai al porto  cara, fammi questo favore. Sono sicura che la drogheria della signora  Bienvenue non ci deluderà.
Zam si produsse in un impercettibile inchino e si dileguò.
-Davvero una cara ragazza la sua Zamedite.
-Ha proprio ragione. Questi uomini meccanici sono così puliti e  piacevoli, non riesco proprio a capire perchè vengano così tanto  bistrattati in certi ambienti popolari.
-Il garzone del meccanico qua sotto, lui sì è spaventevole. Quello  strano mutante con gli occhi viola, mi mette i brividi ogni volta che  passo davanti all’officina.
-Ma sa, quelli sono sbagli della natura. Errori a cui abbiamo cercato di  dare una seconda possibilità. Nulla a che vedere con gli uomini  meccanici, frutto di sapienti tecniche. Gli uomini meccanici uniscono  l’intelligenza dell’uomo alla perfezione della macchina.
-E’ quello che dice sempre anche mio marito, signora Apricot. Ma non  riesco a resistere a questi splendidi pasticcini. Me ne faccia  assaggiare un altro.
Mentre scendeva le scale Zam sentiva allontanarsi il chiacchericcio lamentoso della Signora Apricot e della sua amica.
Aprì il pesante portone e uscì guardando in faccia il sole mentre una brezza morbida le pettinava i polsi.
Lip era appoggiato al logoro muro dell’officina, le sue palpebre nascondevano quasi del tutto i suoi strani occhi.
-Buongiorno Zam. La vecchia ti manda in giro?
-Ciao Lip, si, i loro maledetti zuccherini all’anice. La gente normale  non riesce neanche più a trovare il pane e loro si angosciano per la  mancata esportazione degli zuccherini all’anice. Adesso mi manda al  negozio della Signora Benvenue per la solita pantomima del “oh Signora,  veramente le stanno per arrivare? Aspetteremo sicuramente Signora non si  preoccupi, si certo, solo una questione di giorni Signora.. Oh si  Signora, finirà presto questa guerra…”.
-E finirà presto questa guerra?
Gli occhi di Lip erano più vitrei del solito, quasi una nebbia liquida.  Il suo era un viso dolentemente assente, reso più impalpabile dalle  ombre che lo componevano.
Si incamminarono insieme imboccando una stretta strada lastricata da pietre troppo piccole.
-Ma che ne so. No, non credo. Disse Zam. -Sicuramente nessuno di questi idioti sopravviverà.
Guarda, spesso mi dispiaccio. Per tutti, anche per la Signora Apricot.  Ma è come se si trattasse di un qualche dolorosissimo salto  evoluzionistico. Hanno avuto un sacco di possibilità, tutti loro, e  continuano a sbagliare e a sbagliare.. Non è che io sono sicura di  quello che vada fatto, ma ecco, loro fanno sempre proprio quello che  sicuramente non si dovrebbe fare. Comme lemmings votati all’estinzione  capisci?
-Si, beh non so come sarebbe questo mondo se gli esseri umani si  estinguessero. Magari sarebbe più tranquillo, sicuramente sarebbe di un  verde lussureggiante e di un blu più chiaro. Avrebbe anche il gusto  ferroso del sangue però, non credi? Il salto di cui parli sarà un cinico  tritacarne.
-Dimentico sempre l’illogicità dei sentimenti, è la mia parte meccanica in effetti.
-E’ la tua parte logica Zam, di meccanico hai solo il metallo, ma non è il metallo che ti compone.
Lip ricordava bene il giorno in cui gli avevano portato Zam da riparare.  Quel ricordo era una macchia bianca nella sua vista quando chiudeva gli  occhi. Non aveva mai aggiustato un essere umano, non aveva mai estratto  degli ingranaggi dalle scapole di qualcuno. Zam aveva gli occhi  sbarrati e le mani strette intorno al collo, la bocca socchiusa  tratteneva il fiato da un tempo esageratamente sbagliato. Lip le aveva  cambiato i pezzi rotti, le aveva delicatamente staccato le mani dal  collo e chiuso le labbra. Poi l’aveva circondata con una coperta e aveva  aspettato che piano piano si svegliasse.
-Qualche giorno fa in officina ci hanno portato un robot. Era rotto, oh beh era da buttare in realtà. Chi l’ha progettato ha dimenticato un sacco di cose e il risultato è questo coso pericolante e spaesato, completamente inutilizzabile.
Nell’officina dove lavorava Lip portavano spesso avanzi di prototipi  scassati da riutilizzare o semplicemente da smembrare per utilizzarne i  componenti più semplici. Era un affare abbastanza poco redditizio:  l’azienda buttava via un prototipo solo una volta stabilito che non  sarebbe servito proprio a niente. In officina c’era una tale abbondanza  di pezzi di ricambio che generalmente le macchine e i robot venivano  semplicemente ammassati senza vita in un angolo.
-Sono riuscito a metterci le mani però questa volta. Ho convinto i miei  colleghi che avrei potuto farne un robot in grado di tenere pulita  l’officina, uno spazzino insomma. D’altra parte il capo non si vede da  settimane e con la crisi non è che affoghiamo nelle commesse.
-..Lip! Me lo devi far conoscere!
A Lip esplose in faccia un sorriso inevitabile.
-Ci stiamo andando Zam, non crederai davvero che la Signora Bienvenue  abbia fretta di venderti i suoi ultimi zuccherini all’anice?
Le scale che portavano alla mansarda di Lip erano arroccate sulla  difensiva, una chiocciola di legno che cigolava ad ogni passo. Ma  superata questa necessaria penombra aprivi la porta e quasi crollavi di  fronte alla ventata di luce che ti cadeva addosso dagli enormi lucernai  dell’unica grande stanza dell’appartamento. Non c’era angolo, scaffale,  tavolo da lavoro, tappeto, che non fosse inondato di luce. “Serve ai  miei occhi” diceva sempre Lip.
In mezzo alla stanza c’era un tavolo e sopra al tavolo, con i piedi ben  piantati, c’era il robot. Aveva un occhio solo, l’altro era sul tavolo,  in riparazione. Il corpo era tozzo e i due piedini abbastanza ridicoli,  ma tutto sommato l’aspetto era imponente e fiero. Il grande logo della  ditta costruttrice troneggiava sul petto, le mani erano delle tenaglie  appena più complesse, con un reticolo di vene metalliche che le legavano  alle braccia.
-Zam, ecco Typtri.
Zam si pulì attentamente le mani sul grembiule e poi accarezzò con leggerezza la spalla lucida del robot.
Typtri la guardava con il suo unico occhio, era un occhio liquido, di un’ineluttabile tristezza che Zam non conosceva.
-Non ha l’arroganza degli altri, sembra più simpatico.
-E’ la consapevolezza del declino credo. Typtri non è mai arrivato in  fondo al programma di completamento, quando ce l’hanno portato dicevano  che gli occhi erano il suo punto debole, troppo fragili e troppo  dispendiosi. Le sue iridi sono grovigli di meccanismi, senza  inciamperebbe ovunque e finirebbe col diventare vulnerabile e inutile. I  nuovi modelli non hanno occhi, hanno sensori che rilevano gli ostacoli,  molto più rozzi, ma anche sensibilmente più economici.
A Zam si inumidirono le palpebre.
-Mi chiedo cosa resterà di noi strane creature quando questa guerra sarà finita e tutti gli uomini che conosciamo saranno morti.
Lip sembrava stanco, ma i suoi occhi adesso erano più scuri.
-Resteremo noi Zam. Abbiamo abbastanza pezzi di ricambio per provare a  sopravvivere a qualsiasi ondata di sconforto ci prenda. Abbiamo i nostri  organismi modificati e rattoppati, i vostri nervi di metallo, i miei  occhi chimici. Noi strambi avremo un mondo nostro da ricostruire, la  pienezza di giorni infiniti, la vista di un tempo capovolto e  riseminato.
Lip aveva il volto bianco, eppure a Zam sembrava che le ombre lo percorressero più veloci e leggere. Nei tanti anni in cui aveva visto questa stanza, non le era mai parsa cosi’ scintillante. La polvere posata sugli attrezzi da lavoro non le erano mai sembrati più lievi e la morchia così dolce.
Riaprì gli occhi, Zam, sul dettaglio della mano di Lip che le si stirava davanti elegante.
-Ora vieni Zam, andiamo al negozio della Signora Bienvenue. La Signora  Apricot non è in grado di sopravvivere senza domestici molto a lungo.